COREA, BUSAN E I WEBTOONS (1a Parte)

Ogni volta cerco di anticipare le mie ansie, ma spesso i giorni precedenti alle partenze ho l’umore di traverso, non so se perché devo combattere la mia pigrizia che soccombe ai preparativi, alle cose da riporre in valigia e a tutto il resto. Ma spesso, nonostante si faccia di tutto il prevedibile, l’imprevisto rimane sempre lì, in attesa dietro all’angolo a ghermirti.
Intanto era già da due giorni che una fastidiosa febbriciattola (tra 37 e 38) mi stava infastidendo, ma proprio stamani, che neanche a farlo apposta stavo leggermente meglio, appena arrivato alla stazione per prendere il treno per Firenze (parto da Peretola-Schiphol-Seul), sullo schermo elettronico della stazione, il treno di cui avevo preso il biglietto, non c’era.
Com’è possibile?
Semplice: avevo acquistato un biglietto in partenza da Firenze per Cecina, e a Firenze a quell’ora il treno in effetti c’è, è a Cecina che il primo utile era quasi due ore dopo.
Era successo che l’app di Trenitalia, al momento dell’acquisto, mi aveva invertito autonomamente l’arrivo con la partenza, per cui avevo sì acquistato un biglietto, ma da Firenze a Cecina e non viceversa come desideravo. Praticamente, facendo ulteriori prove, ogni volta che digitavo qualsiasi stazione, la app mi rimetteva di default Firenze-Cecina. Lascio perdere e non mi perdo d’animo, anche perché la partenza é nel tardo pomeriggio ed ho tempo, alla biglietteria chiedo lumi sulle opzioni di partenza tra Livorno e Pisa, e decido di prendere l’auto ed andare a Pisa.
A Pisa con l’aiuto di un ferroviere (neanche a farlo apposta) ripristino l’app e mi prendo un nuovo biglietto, questa volta per la destinazione giusta, e parto quasi negli stessi tempi del treno con cui sarei dovuto partire. Sul treno un napoletano che parla in viva voce con un amico, pianificando un affare, intrattiene tutto il vagone anche con i dettagli della transazione, ma tutto fila liscio fino a Firenze. È solo un gran caldo che, temo, ritroveremo anche a Seoul.
La tranvia avrà creato anche mille problemi ai fiorentini, non lo metto in dubbio, ma in solo 20 minuti sono a Peretola, senza problemi di traffico o di accesso ai taxi. Purtroppo ci lamentiamo sempre per i disagi, che ci occultano anche i futuri vantaggi, ed è solo quando il fastidio è passato che riusciamo a vedere le comodità che ci abbiamo guadagnato.

Aeroporto di Incheon, Seoul, Corea del Sud.

Allora, perché sono stato invitato in Corea al Busan Global Webtoon Festival? A dire il vero la cosa é abbastanza complicata, e non sono sicuro di volervela raccontare, mi farebbe perdere un sacco di tempo e la cosa non è neanche così interessante. Vi basterà sapere che in conseguenza a dei rapporti intercorsi con l’Accademia Nemo e alcuni artisti coreani presenti al Korean Film Festival di Firenze si é creata una sinergia per cui, una volta scoperto che il sottoscritto ha una discreta carriera come autore, visto che in Corea gli autori che disegnano su carta, sono considerati Maestri, dopo avere visto un po’ il mio curriculum si sono decisi ad invitarmi.
Ora, voi sapete che io sto al webtoon e al fumetto asiatico, come Totò alla Fisica dei Quanti, ma come si fa a rifiutare un invito all’altro capo del mondo? In un paese che, al di là di tutto sta diventando una potenza industriale e vanta uno sviluppo economico che ricorda quello dell’Italia del Boom, e dove non sono mai stato?

 

GIOVEDI’/VENERDI’

Partenza e coincidenza a Schiphol con il volo KLM per Seoul tutto nei tempi, e facciamo tutto il viaggio praticamente di notte, che trascorre tranquilla dormendo anche ben più di quello che mi aspettavo. Prendiamo coscienza di noi intorno alle 13,00 ore locali, ci servono la colazione e c’è il tempo anche per la visione di un ameno film inglese. Poi atterriamo.
Incheon è, come tutti gli aeroporti internazionali asiatici che ho visto, enorme, moderno e funzionale.
Lo dico subito e forse lo ripeterò anche più avanti, un po’ perché tendo a ripetermi, un po’ perché i concerti alla fine sono quelli e cambiano poco quando le considerazioni vertono su determinate questioni: la pochezza del nostro paese, è misurabile nelle infrastrutture e la loro adeguatezza ai tempi.
Ora, noi siamo partiti da Peretola che è un aeroporto sì, ma è pur sempre l’aeroporto di una città come Firenze che, se nominata ovunque, tutti la conoscono per l’arte, la bellezza e la sua storia, ma tutto sommato piccola come dimensioni. Per cui il paragone andrebbe fatto con Roma, ma anche facendolo, resta il fatto che Fiumicino e Incheon non sono neanche lontani parenti.
Tutto quello che temo mi sentirete dire, sarà tutto su questa falsa riga e l’ho ribadito praticamente sempre, per capire la grandezza del proprio paese basta andare all’estero e fare confronti (potrei dire su tutto) e subito ridimensioneremmo le nostre illusioni.
Comunque, arrivati all’aeroporto, abbiamo sbrigato le cose da fare, cambiare poco denaro liquido da euro a won, inserire due carte virtuali per la durata del viaggio che si estinguono automaticamente e ci permettono di navigare sul wi-fi a circa tre euro al giorno, e ricaricare delle card che aveva Federica (dal suo precedente viaggio in Corea) e che serviranno per pagare i mezzi pubblici con questo metodo comodo e veloce.
Federica, eh già, non vi ho ancora parlato del mio compagno di avventure, intendiamoci, abbiamo già fatto svariati viaggi insieme, ma mai da soli. Federica è la compagna di Luca, il mio socio (che per impegni a scuola non è potuto venire), è la responsabile oltre che insegnante di altissimo profilo del nostro corso di animazione, ed è qui per supportarmi nella mia visita e come ospite del festival, oltre che esporre le caratteristiche della nostra scuola alle altre realtà del paese. Sarà la mia guida, il mio supporto e una gentile e accomodante compagna di viaggio, come lo è stata le altre volte. Del resto a me piace moltissimo fare il pacco postale ed essere portato a giro, specialmente quando il mio accompagnatore c’è già stato ed ha l’entusiasmo e il desiderio di condividere le sue esperienze con me.
Comunque, dopo circa 1,45h di viaggio (causa distanza e traffico, anche qui l’ultimo giorno feriale della settimana produce file interminabili di auto sulle grandi arterie della metropoli), siamo arrivati intorno alle 16,30 e quindi ci muoviamo intorno alla chiusura degli uffici.
Altra annotazione, sono circondato da Hyundai e Kia, di svariate forme, modelli e stazze, roba che in Italia ne sarà commercializzato meno de 30%, sembra esistano soltanto due Marche. Le uniche occidentali che vedo sono, in sequenza: una Volkswagen, una BMV e una Mercedes, e poi a seguire soltanto le ultime due. Per cui ormai è comunemente assodato che il lusso su strada si chiama Germania, e lo si evince ovunque.
L’albergo è il Lotte City Hotels (la Lotte è una compagnia gigantesca che possiede catene di alberghi, Mall e ogni altro tipo di investimenti) di Myeong-dong, un bel quattro stelle in una bella zona della città. La camera è al 25imo piano, da dove si gode la vista di una città che sembra quella di Nathan Never e che per caratteristiche non è molto distante da Tokyo, o dal centro di Pechino o Dubai.

La vista dalla camera al 25° piano.

Il mondo che corre e che cresce si riproduce tutto allo stesso modo.
Dopo una breve pausa in camera usciamo per la cena, ci dirigiamo verso un quartierino pieno di locali e ristoranti i tipici, nelle vicinanze di un corso d’acqua completamente artificiale dal nome impronunciabile Cheonggyecheon Stream (lo dirò adesso per non ripeterlo mai più), creato nel centro della città, concepito per essere una passeggiata e un punto d’incontro e di ritrovo irrinunciabile per chi viene a Seoul. Nell’imbarazzo della scelta, ci sediamo ad un ristorante con tavoli che hanno un’enorme piastra in mezzo, i piatti che ruotano tutti intorno a questa piastra sono invitanti. Muniti da un apparecchiatura spartana, ci muniamo di bacchette e ci mettiamo a cenare con l’aiuto di un avventore gentile che, vedendoci armeggiare al fornello come dei novizi, ci delucida sui modi di gestire condimenti e pietanze che ci hanno fornito. La cena a base di maiale e riso tutto speziato e moderatamente piccante, è saporito e buono, e ci alziamo soddisfatti e increduli di avere mangiato tutto quello che abbiamo ordinato.
La cifra del conto è ridicola, sono 29.000 won qualcosa come 18/19 euro.

Il quartiere dei locali e dei ristorantini vicino al Cheonggyecheon Stream.

É venerdì sera, e le strade sono piene di gente, giovani per lo più, si affollano nei locali, lungo il fiume e anche lungo le enormi arterie che si intrecciano in incroci ampi come campi di calcio. Intorno a noi palazzi altissimi, futuribili e pieni di luce, quasi che qualcuno si sia accordato a lasciare le luci accese per esaltare l’impotenza di questi mostri d’acciaio per impreziosire lo skyline. Nella piazza principale di fronte al Palazzo Reale si stanno allestendo gli spazi per quello che sembrerebbe un concerto, è stato allestito un enorme palco con uno schermo di gigantesche proporzioni, neanche ci fossero gli U2.
Poco distante, in un altro spazio adiacente, una serie di grandi lampade di carta, ornano questa piazza illuminata dalle loro luci, hanno forme diverse e riprendono un’antica tradizione coreana, quella della decorazione della carta, sono tutte bellissime e multicolori e l’atmosfera è coinvolgente.

Il Palazzo Reale illuminato.

Le sculture luminose di carta colorata.

Tutto ci parla di un paese che sta correndo una folle corsa verso la modernità, digitalizzato in molti suoi apparati e già pronto per le sfide future anche se, mi si dice, la rapidità delle conquiste spesso non coincide con l’acquisizione di una cultura o una mentalità adeguata. Alcuni valori tradizionali sono ancora molti radicati e molti diritti civili ancora difficili da digerire.
La serata è mite e si circola comodamente con la t-shirt, e oramai andiamo avanti ad oltranza, ne avremmo ancora per un po’, ma l’orologio ci consiglia di tornare in albergo e adesso, con l’IPad sulle ginocchia, gli occhi mi consigliano di andare a dormire.
Hanno ragione loro, sono le 1,22h.
Buonanotte.

 

SABATO

Il risveglio è agevolato dalla luce che filtra attraverso le tende oscuranti, dietro si svela una giornata limpida e serena, se la temperatura si mantiene, sembrerà di essere in piena primavera come quelle di una volta, anticipatrici dell’estate.
La temperatura è al momento intorno a 22°, ma si prevede che salga fino a 27°.
Il ristorante è al 27imo piano, l’ultimo. Io e Federica ci prendiamo un tavolo accanto alle enormi pareti interamente di vetro, e ci troviamo così seduti a strapiombo sul panorama. Il locale è suddiviso in tre punti con differenti menù: uno coreano, uno internazionale e uno con brioche, pane e croissant, un po’ scarse le opzioni delle macchine automatiche per il caffè (oramai una costante in ogni hotel), e prendo un semplice caffè e latte, che però alla fine risulta essere più vicino a un cappuccino.
Oggi la direzione è verso Gangnam, sì, avete capito ben, proprio quello della canzone “Gangnam Style” che imperversò qualche anno fa, cantata da quel cicciottello nerd che si scatenava sul palco, si tratta di un quartiere piuttosto ricco e interessante, dove ha sede il Coex Mall Trade Center, un gigantesco centro commerciale che è una vera e propria attrazione, dove all’interno ha sede una grande libreria che merita la visita.
Prima però, decidiamo di passare alla Stazione Centrale di Seoul, vorremmo acquistare i biglietti del treno per Busan del mercoledì, e non vogliamo sorprese. La nuova stazione è costruita accanto alla vecchia, ed il contrasto di stile è evidente: da un lato una classica costruzione in cemento con tetto a tegole come ci immaginiamo l’edilizia della fine dell’Ottocento, dall’altra un profluvio di acciaio e vetro come inno alla modernità e alla luce. Il vecchio e il nuovo che si rispecchiano in questa città che sembra avere abdicato completamente alla seconda opzione, proiettata com’è in un futuro come potenza economica.
Ma le sorprese non tardano ad arrivare: di biglietti per Busan per il mercoledì c’è ne sono pochi, e decidiamo di acquistarli subito, così anche per il ritorno.
Il problema però è il pagamento, la carta della società viene rifiutata, quella personale pure, e perfino quella di Federica viene rigettata. Strano, sono tutte Mastercard, praticamente il circuito più conosciuto in tutto il mondo. Poi l’impiegato chiude lo sportello perché deve assentarsi.
Decidiamo di provare ad un altro sportellò, indicando di inserire il codice personale, tutto uguale.

La vecchia Central Station di Seoul (sopra), e l’interno del nuovo terminal, costruito accanto.

È una rottura, se andiamo avanti così non potremo utilizzare la carta aziendale e dovremo pagare tutto in contanti. Strano però, è vero che la sera precedente avevamo dovuto pagare in contanti perché il ristoratore aveva avuto gli stessi problemi, ma avevamo creduto avesse voluto fare il furbetto. E poi non si spiegava, per il taxi del giorno prima era andata bene, così quella di Federica allo store la mattina, e quindi non capiamo.
La soluzione la troviamo ritirando contanti da un bancomat, e decidendo di pagare i biglietti, la cosa che al momento ci premeva di più.
Prendiamo la metro per Gangnam, il pagamento delle corse è molto semplice, basta strusciare la T-card che avevamo caricato il giorno prima sia all’entrata della linea che all’uscita del mezzo (anche il bus di superficie) che viene scaricato l’importo automaticamente.
La mattina se ne va tutta al centro commerciale, strade e intrecci di percorsi tra negozi di ogni tipo, da monomarca di pregio, di abbigliamento, ristoranti, e food di ogni tipo oltre a piccoli shops (anche di gadgets), l’abbinamento tra personaggi dei manga o dei webtoons e il relativo merchandising su varie tipologie di prodotto, in quantità impressionante. Ci troviamo di fronte a negozi con pupazzi e pupazzetti multicolori che farebbero la felicità di nerd di ogni età, per la pregevole fattura e la simpatia dei prodotti. Una caratteristica riscontrata anche in Giappone e praticamente assente da noi, se non per materiali da cartoleria e qualche capo d’abbigliamento per bambini.

L’interno del Coex Mall Trading Center, e la Starfield Library.

Intorno a noi è un’esplosione di forme, insegne, persone, design e colori che stordiscono per la loro quantità, il flusso di gente e la presenza nei negozi è la spia di un benessere diffuso e una concorrenza di prezzi che facilita l’acquisto. Basta constatare i prezzi dei ristoranti e quella è già un’assoluto indice di paragone.
C’è un enorme multisale dove a tutto schermo si reclamizza un film coreano, mentre su un altro c’è l’anteprima del prossimo Capitan America e, con mio stupore (ma è pur vero che non seguo nessuna continuity della saga Marvel), scopro che il nuovo Capita America non è più Chris Evans ma è impersonato dall’attore nero Anthony Mackie che aveva precedentemente dato il volto a Falcon… e capisco, senza nessun patema, che mi devo essere perso qualcosa per strada.
Poi finiamo in quello che è una vera attrazione universalmente riconosciuta, la Starfield Library, un’imponente libreria illuminata da un soffitto altissimo realizzato in acciaio e vetro che lascia entrare tutta la luce che c’è, con un colpo d’occhio formidabile. Ai suoi spigoli, come fossero colonne portanti, ci sono delle strutture che sembrano gigantesche librerie che mostrano centinaia di volumi multicolori, dando l’impressione che siano proprio i libri a sopportare tutto il peso di quella magnifica struttura, ci addentriamo e scopriamo all’interno un caffè, una sorta di pasticceria con relativi posti a sedere, oltre ad altri posti ad uso di chi si vuol fermate. Poi, col mio solito elucubrare, facendo un rapporto tra lo spazio e la quantità dei libri, c’è qualcosa che non mi torna. Ci sono spazi così ampi che se fosse una libreria sarebbero occupati da altri scaffali su cui esporre ulteriori libri, senza più un concept di design che uno spazio di distribuzione e vendita. Tutto nella ma…
Poi, avvicinandomi agli scaffali, mi accorgo che ogni libro ha un suo codice sulla costola e allora mi sovviene che quella non sia una vera e propria libreria, bensì una biblioteca. È quello, in effetti è. Quei libri sono lì a disposizione di tutti, come le decine di riviste di moda, architettura, arte, armi e design di ogni parte del mondo sono a disposizione di chi, volendo, può prendersele e sfogliarle liberamente. Una cosa fantastica, nobile e meritoria anche perché, nel caso ci fosse, non saprei dove trovare il business. E per questo chapeau!

L’esterno del Mall a Gangnam, dove si stava realizzando una sorta di festival canoro, eventi del genere vengono organizzati frequentemente.

Mangiamo in un ristorante prendendo una coppa di spaghetti coreani buoni e bollenti, stando attenti, mulinando le bacchette con la consueta abilità, di non insozzarci con gli schizzi. Anche qui il prezzo è ridicolo.
Siamo pieni del Mall e dei negozi, e decidiamo di andare a vedere la mostra di un illustratore coreano che pare sia nello stesso quartiere (che qui non è propriamente dietro all’angolo, tenete presente che Seoul conta comunque circa 9.300.000 abitanti), ma l’impresa si rivela più difficile del previsto. Google Maps fa fatica, e l’altra app di navigazione coreana di Federica, risponde con l’alfabeto coreano ma, al primo segnale di ok, ci mettiamo in movimento. Non sembrerebbe troppo distante, meno male.
Ci fermiamo subito perché troviamo un tempio buddista che vale la pena vedere e infatti ci addentriamo nel piccolo parco che lo contiene. Il posto è interessante, è turistico quanto una qualsiasi chiesa cristiana in cui una donna ha fatto un paio di miracoli millenni fa, pieno si buddini, incensi votivi e all’interno del quale un sacerdote officia una cerimonia per una famiglia al completo che probabilmente chiede un voto. Niente di nuovo, così come tutte le strutture del complesso, usate e vissute e ricoperte di quella pagina del tempo che le fa preferire a quelle laccate e leccate dalla continua manutenzione.

Il tempio buddista incontrato lungo il cammino alla ricerca della gallerie d’arte.

Continuiamo la nostra ricerca ma l’app di Federica non ne vuol sapere, non riusciamo ad individuare il posto. Chiediamo ad un paio di passanti, ma uno di questi ci dice perfino che è ben oltre le distanze da noi supposte, a noi che ci stavamo muovendo a piedi. Proviamo con i taxi che però neanche ci considerano, il viale è ampio e trafficato e non è prudente fermarcisi.
Ormai è tardi, e decidiamo di rientrare, anche quello è un piccolo viaggio che ci impegna fino alle 18,45h, poi paio di orette di sosta, per poi uscire per la cena.
La metà è ancora in quartiere pieno di ristoranti i e ritrovi adiacente al torrente artificiale, ma stasera ci fermiamo a mangiare in uno dei primi ristoranti che incontriamo, c’è un piatto tipico ed invitante che ci strizza l’occhiolino da un menù che osserviamo all’aperto. Si tratta di un piatto di pollo e khimci (una sorta di cavolo locale che viene fatto fermentate e poi servito come contorno e, saporito e piccante com’è, lo si trova ovunque). Mangiamo di gusto benché per la seconda volta non ci credevamo capaci di mangiare tutta la padellona posta anche stasera su un fornello acceso e al centro del tavolo.
È tutto buono e spolveriamo tutto, anche stasera il costo è ridicolo 30.000 won, qualcosa intorno a 19/20 euro, imbarazzante.

Il piatto a base di pollo e formaggio sul braciere, imponente e gustosissimo.

Poi ritorniamo lemme lemme verso l’albergo, infatti nella piazza antistante al Palazzo Reale, dove la sera prima allestivano palchi e platee, e stasera c’è un mortorio funebre, evidentemente tutto è già stato consumato nel pomeriggio e c’è lo siamo persi, e delusi torniamo sui nostri passi.

La grande piazza di fronte al Palazzo reale, e la statua della gloria locale, il famoso generale coreano che sconfisse con una fine strategia gli invasori in una battaglia navale.

Eventi del genere, oggi c’è ne saranno stati almeno tre sparsi in punti diversi della città, quello che abbiamo visto a Gangnam appena usciti da Coex sembrava adibito per ragazzini e fanciulli, tutti canzonette e balletti sì, perché qui tutti cantano e ballano. Non è infatti raro vedere pubblicità, video che reclamizzano qualsiasi prodotto dove una banda di ragazzi quasi in età adolescenziale cantano ballano con coreografie ricercate e professionali, finendo tutti col sorriso entusiasta sulle facce.

E la sera, il dolce camminare sulle sponde del Cheonggyecheon Stream.

Evidentemente vivono in una bella atmosfera di continuo reality e tutto merita una canzone e quattro passi di danza. Mica poco. Beati loro!
Noi invece arriviamo di fronte alla statuona antropomorfa plastificata di fronte all’albergo, ci salutiamo e ci diamo la buonanotte.
Domani ci apprestiamo ad una gita fuori porta, e dobbiamo essere in forma.

 

DOMENICA

Non ho dormito bene, mi sono svegliato più volte quasi dovessi pagare il riposante sonno del giorno precedente. Colazione alle 8,15, dopo un’ora ci passano a prendere per il tour della DMZ.
Guida in inglese, gli italiani non sanno bene neanche dove stanno, secondo me, oramai ho abbandonato l’idea di avere delle attenzioni, anche la scelta dei film sull’aereo era piuttosto scarsa, i più nuovi non avevano ancora il doppiaggio in italiano.
L’autobus conta un’ accolita di persone provenienti da ogni parte (Messico, Giappone, USA e chissà da dove), l’unica cosa che l’accomunava era là lingue, si fa per dire.
Dopo un’oretta di viaggio ci si ferma, abbiamo attraversato Seoul in direzione nord, la città ancora è addormentata vista la festività, il traffico scarso, la giornata luminosa.
Ci vengono distribuiti i pass che mettiamo al collo, poi Grace (la guida si fa chiamare così, con un nome occidentale, come spesso fanno da queste parti, per facilitare la memorizzazione), e ci insegna due o tre parole in coreano che puntualmente dimentico.
Poi inizia con la storia coreana, delle varie invasioni nei secoli da parte dei giapponesi (dal che si deduce, nonostante la dolce bonomìa, che gli stanno sulle palle), e il motivo ci sarebbe pure perché, non ricordo nell’arco di quanti secoli di invasioni se ne contano circa 700, mentre i più pignoli asseriscono che siano 900.

Il terminal dove sostano gli autobus in arrivo alla DMZ, qui inizia il tour e, se si vuole c’è a disposizione una cabinovia per andare oltre il filo spinato.

Praticamente stavano sempre a casa loro a rompergli gli zebedei. Intendiamoci, i giapponesi non hanno la fama dei buontemponi e, ovunque siano andati, hanno lasciato scie di sangue, morte e desolazione, diciamo che non hanno mai avuto un buon carattere, é gente tignosa quando si mette una divisa.
Ricordo la memoria della mia guida di Nanchino Hue, che mi rammentava le stragi perpetrare di giapponesi ai danni dei cinesi nel loro periodo di occupazione della Seconda Guerra Mondiale, i massacri e le violenze ricevute, e di cui il Giappone non si è mai scusato.
Ma la giornata verteva tutta sulla guerra coreana iniziata nel 1950, quella che ha portato al dimezzamento della Corea, dove per la prima volta dalla fine della guerra, i due blocchi USA e URSS si contrapposero perché ognuno andò in aiuto di uno dei contendenti, iniziano così il balletto della Guerra Fredda che avrebbe contraddistinto i decenni successivi.

Il ponte interrotto, il binario col treno che trasportava i profughi in fuga dalla Corea del Nord e le bambine in attesa dei parenti, immortalate con una scultura.

Ad ogni modo, ha poco senso che vi racconti le nostre tappe, vi dirò soltanto che siamo stati nel punto in cui è stata interrotta la linea dei treni, abbiamo attraversato il fiume con una specie di funivia verso la zona smilitarizzata, attraversato confini tracciati dal filo spinato, e vista, da una certa distanza, la prima città della Corea del Nord, da quello che viene chiamato l’Osservatorio, un punto privilegiato dove si può vedere una piana dove vengono indicati le relative zone di appartenenza alle due nazioni, il punto di confine tra i due stati e, in lontananza, il profilo di una città.

Sopra l’ingresso di Camp Graves, una struttura militare all’arrivo della cabinovia (apparentemente non abitata, ma chissà dove sono), e la vista della prima città Nord Coreana vista dall’osservatorio, tra quelle case, comanda quel buontempone di Kim Jong-un.

La cosa in sé sembra perfino buffa, tutta ‘sta gente che guarda e scatta foto da un’enorme vetrata verso un anonimo paesaggio che potrebbe appartenere a qualsiasi buco del culo del mondo.
Ma l’anomalia e l’isolamento totale e asfittico dell’unica nazione che si è rifugiata in un anacronistica posizione, la rende possibile.
I coreani ci hanno creata il business di un turismo che paga per vedere i reperti della stupidità umana, di come, in nome dell’egoismo e della smania di potere due paesi sono stati divisi, famiglie sono state disperse e parenti separati.
La guerra prende inizio nel 1950, violenta e sanguinosa poi, nel 1953, dopo tre anni di scontri, battaglie e 2.800.000 tra morti e dispersi, viene firmato un armistizio che la interrompe. Ma da quel momento in poi tutto rimane fermo, la pace non viene mai firmata né presa in considerazione, e di fatto, ancora oggi, a distanza di oltre settant’anni, i due stati sono ancora in guerra.
In tutti questi anni infatti, molte occasioni di piccoli scontri e incidenti diplomatici ce ne sono stati parecchi, perché il mostro del Nord (ma faccio fatica a definirlo così, tanto mi sembra ridicolo, se non fosse tragico) guidato da un cicciottello che se non fosse nato da una dinastia di tiranni, farebbe il gelataio nelle feste di paese, ha l’ossessione del gigante americano che, nei decenni, ha infatti distribuito una fitta rete di basi in tutto il territorio del paese, ritenendola da sempre una zona ad alto rischio e uno dei punti più caldi e potenzialmente pericolosi del mondo.
Alcuni di questi momenti di crisi sono stati i ritrovamenti di tunnel scavati sotto la zona smilitarizzata, da parte dei nordcoreani per cercare di portare truppe nel territorio nemico o per far brillare ordigni sotto i piedi degli odiati nemici.
Per questo noi siamo andati a vedere, e siamo entrati in uno di questi, il terzo in ordine di tempo, scoperto nel 1973.
In realtà si è trattato di una banale discesa in un tunnel sotterraneo, angusto ed umido, ma l’esperienza ha in sé un alto valore simbolico.
Ma se al Nord il governo è impegnato costantemente e sottolineare le differenze, gli svantaggi dell’altra parte in un costante bisogno di giustificarsi, dibattendosi in un nostalgico passato senza nessun futuro, al Sud trasformano questa caratteristica unica nel suo genere in business, trasformando la DMZ in motivo d’interesse turistico, e mentre il popolo oramai ha digerito ed assimilato questo assurdo confronto, trasforma le sue città in gioielli di architettura e modernità, fa crescere il PIL e produce innovazione industriali e si affaccia tra le più grandi potenze economiche del mondo.

All’esterno del tunnel di infiltrazione (all’interno è proibito fare foto), ma si tratta semplicemente di un budello altro circa 1,60m, che si abbassa fino a 70m. di profondità, poi souvenir ricordo per turisti.

La giornata finisce al nostro ritorno in città, ma tra i saliscendi delle camminate, l’immersione in profondità nella galleria, l’aspra risalita e il caldo che non ci ha dato tregua, e i continui sbalzi di temperatura tra solleoni esterni e condizionatori a tutta palla interni, arrivo distrutto all’albergo.
Io mi fermo fino alla cena, mentre Federica dopo una sosta ristoratrice, va incontro a Jieun, un’amica coreana con la quale vuol fare delle compere e con la quale ceneremo stasera.
Jieun è simpatica, è insegnante di inglese, così potrò dimostrare ulteriormente quanto faccio cagare in quella lingua. La cena si svolge alla T Tower, uno splendido palazzo non lontano dal nostro albergo, ultramoderno e pieno di ristoranti di una certa classe, e distribuiti su tre piani del basamento dell’edificio.

Il ristorante alla T-Tower.

Il nostro locale è elegante, e si differenzia da quelli frequentati fino ad ora, per il menù, il servizio è la quantità dei clienti che sono pochissimi, semplicemente perché i coreani vanno a mangiare molto presto, tanto è vero che domani, alla cena col regista, si cenerà alle 17,00h. Tra l’altro non pago neanche, perché con un colpo da falena Jieun mi precede fingendo di andare alla toilette e paga lei. Domani mi sdebiterò.

Jieun e Federica di fronte alla scultura in resina antistante l’entrata del nostro hotel.

Facciamo quattro passi, giusto il tempo per avvicinarci al Lotte City Hotels, ci salutiamo e andiamo a nanna.
Le mie membra urlano vendetta, e io pure.

 

LUNEDÌ

Buongiorno!
Anche oggi il giorno pare clemente, il cielo è luminoso e sembra che in Corea il brutto tempo sia bandito, se facesse un po’ meno caldo sarebbe meglio (forse perché arrivo diretto da un’estate piuttosto bollente), ma non vorrei chiedere troppo.
Senza entrare nei dettagli, oramai mi sono anche abituato a sedermi sulla tazza del cesso senza sentire quella leggera impressione che trasmette il freddo della ciambella. Qui è termo-autonoma, e riscaldata, sempre. Accanto c’è una strumentazione degna di una plancia comandi, con varie opzioni… vi dico solo che in un primo momento fa ridere, poi ci si abitua, per definirla, alla fine, funzionale. Non hanno il bidet, ma hanno trovato un degno succedaneo, l’avevo già sperimentata nel mio viaggio in Giappone, ma sarà che sono passati dieci anni e probabilmente l’hanno migliorata, fatto sta che l’ho trovata tremendamente comoda.
Mi son detto che ai piccoli piacevoli comfort che la modernità ci offre, difficilmente rinunceremmo, possiamo raccontare che probabilmente per porre freno ai consumi, allo sperpero di risorse e alla consunzione del pianeta terra dovremo tornare indietro, fermarsi, ma credete, sarà un passo difficile da fare. E sarà difficile perché quei paesi che con fatica sono arrivati ad avere questi privilegi, sarà difficile che ci rinuncino. Di contro, quelli che ancora vi aspirano, difficilmente vorranno privarsene.
Ecco qua, sono partito col pippone social-filosofico di prima mattina, andiamo bene!
Torniamo a noi: oggi il programma del nostro rollino di marcia prevede visita al Palazzo Reale (con probabile cambio della guardia alle 10,00h), e poi cena alle (17,00h, l’orario della cena varia dalle 17,00h alle 10,00h) con il regista coreano Um Tae-hwai che abbiamo conosciuto a Firenze e che, saputo che eravamo a Seoul, ci ha voluto incontrare.
E adesso partiamo…
Il Palazzo Reale è a quindici minuti a piedi dall’albergo, vicino se si considera la grandezza della città. Il cambio della guardia è alla fine, e vediamo lì insediamento del nuovo gruppo di guardie, prede subito d’assalto da una turma di turisti per una foto e io, accontentandomi della guardia invece del capitano, me la faccio subito scavalcando la lunga fila.

Cambio della guarda al palazzo reale e foto con la guardia. Impassibile come un corazziere.

Prima cosa da dire, in risposta anche alla prima cosa che salta gli occhi, è che l’ingresso è gratis per chi si veste in abiti tradizionali per cui il 50% dei visitatori è in costume. Tuttavia, vuoi perché alla fine l’arte del travestimento ha sempre il suo fascino, vuoi perché l’affitto è basso (non che il prezzo del biglietto sia alto, sono 3000won, circa 1,80€ , quindi probabile che il costume costi di più), fatto sta che oggettivamente, se tutti fossimo vestiti in abiti tradizionali, sembrerebbe di vivere in un’altra epoca.
Il Palazzo Reale è come tutti i palazzi storici orientali, almeno quelli che mi è capitato di visitare tra Corea, Cina e Giappone. Non me ne vorranno gli amici dei relativi paesi, ma l’abitudine ad essere circondato da mille stili e trovarsene di fronte uno praticamente con gli stessi stilemi, non mi permette di notare differenze. Del resto perdonatemi, ma abituati come siamo tra capitelli gotici, colonne romane, strutture rinascimentali e chiese barocche, per noi la struttura a pagoda, quella è.

Interni del Palazzo Reale, e visitatori e scolaresche in abiti tradizionali coreani.

Per cui cominciamo a fare il nostro giro che ci tiene impegnati tutta la mattina per oltre due ore, e giriamo in lungo e largo questa bellissima fortezza costituita di palazzi minori, giardini, padiglioni nell’acqua e residenze di regine, principi, re, funzionari e corti, fatti di strutture collegate e contigue tutte identiche tra loro. Da quelle aperte possiamo intravedere le stanze di rappresentanza, quelle abitative, con arredi e fusuma (pareti mobili di legno e carta) le tradizionali pareti mobili in legno e carta di riso. Ci aiuta una mappa scaricata da una rilevazione da QR Code che ci manda su una piantina con informazioni in inglese che ci torna molto utile.
Incontriamo anche una coppia di italiani, i primi da quando siamo arrivati, due simpatici romani in viaggio per il loro 30imo anniversario di matrimonio, qualche scambio di impressioni, un paio di consigli e poi ognuno per la sua strada. Ma è sempre bello riscontrate come l’appartenenza al proprio paese emerge là dove ci sentiamo isolati, e appare come una luce, un riflesso in cui ci rispecchiamo volentieri, perché sappiamo che ci accomunano più cose di quelle che ci dividono, e questo sarebbe un motivo sufficiente per portarselo gelosamente a casa e ricordarsene.
Ma purtroppo una volta arrivato ce ne dimentichiamo.

In certi momenti, quando gli abiti tradizionali diventano protagonisti, sembra davvero di vivere in un’altra epoca.

Una volta usciti dal Palazzo Reale ci dirigiamo verso una zona vicina all’albergo, piena di negozi di beauty, gadgets e abbigliamento, dobbiamo concedere allo shopping un po’ di tempo, non lo richiedo tanto io, ma capisco che Federica ne ha bisogno, mi ha confessato che è una cosa alla quale nei viaggi non può rinunciare. Ma anch’io, già che ci sono, ne approfitto.
Torniamo in albergo per un leggero ristoro, leggero perché le due ore passano in un baleno, la fatica dell’eterno camminare, alla fine si accumula e si fa sentire.
All’ora prestabilita ci troviamo fuori dall’albergo per prendere l’autobus, ma io temo di avere un problema alla T-Card e allora optiamo per il taxi. Nonostante tutto l’apprensione cresce, il traffico a quell’ora é caotico e ci si muove a rilento, temiamo di arrivare in ritardo.
Non è così, sforiamo di poco, ma ci tenevamo alla puntualità, abbiamo l’appuntamento con il regista
Um Tae-hwai, che in Corea è davvero una celebrità, un regista di blockbuster che ci teneva a contraccambiare la cena che facemmo insieme a Firenze. Um-Tae-hwai non è solo, è venuto insieme a Jiin Oh e poco dopo arriva anche Jieun, l’amica di Federica.
Il quartiere è completamente diverso dalla zona centrale dov’è situato il nostro albergo, la strada è alberata ed ha dimensioni più normali, a differenza delle arterie a sei corsie presenti in centro, gli edifici hanno dimensioni più ridotte e qui effettivamente non sembra un’anonima, per quanto bella metropoli, ma si respira un’aria diversa, mi ricorda un po’ la Washington Mews di martimisteriana memoria, e comunque alcune caratteristiche stradine di New York. Si respira un’atmosfera diversa, perfino più artistica.

Il quartiere dove si trova il Yasunoya Main Store, il locale tipico con i cuochi di fronte ai clienti, e la saletta con Federica, il sottoscritto, Um-Tae-hwai e Jiin Oh.

La cena è in un ristorantino tipico (consigliato a Um-Tae-hwai dall’attore di una serie coreana molto famosa), il Yasunoya Main Store è un locale dalla cucina con contaminazioni giapponesi e, mi dicono, il cuoco è uno che ha partecipato ad una sorta di Masterchef tra professionisti. Ha la stessa caratteristica del ristorante della prima sera, la cappa telescopica (che è tipica delle cucina coreana), che si abbassa fin sopra la padella bollente, sulla quale cuociono la carne è tutto quello che viene servito e che aspira i mefitici profumi. Siamo in una stanzina appartata, apparecchiata solo per noi è abbiamo un cuoco personale, sì perché la cena viene cotta di fronte a noi, all’istante. Il cuoco prende pezzi di carne e comincia a cuocerli, poi li sminuzza con le forbici e ne fa molti pezzettini che ad uno ad uno verranno cotti e serviti direttamente nei piatti, con una manualità a volte ipnotica. Ci servono carne, controfiletto, maiale, salsicce buonissime dai sapori distinti e delicati, le migliori che abbia mai assaggiato, almeno cotte così, ben meglio delle nostre braci, e poi cipolla, aglio, germogli di soia e una zuppetta con degli spaghettoni come quelli mangiati a Tokyo, piccante e saporita, bagnato con del sakè di pregiata fattura.

Alcuni momenti della cena, e per finire il graffito rimasto a sancire indelebile il passaggio dell’artista su quelle mura, ad honorem nei secoli dei secoli.

La serata scorre simpatica e veloce, parliamo di ogni argomento nonostante il mio pessimo inglese e, piano piano ci sciogliamo un po’ tutti. Alla fine, visto che i muri sono pieni di graffiti e firme fatti dai precedenti avventori, in uno slancio di entusiasmo dedico di nobilitare quell’ammasso di segni incongrue, e gli disegno un Nero Maccanti, questo personaggio dovrà la sua fama più ai disegni che gli ho dedicato in giro per locali, piuttosto che ai libri che ho venduto.
Se ne vanno via così due ore senza accorgersene poi, alla fine della cena (ricordo che l’appuntamento era per le 17,00h) Um ci chiede se ci fa piacere bere un caffè, noi siamo stanchi ma accettiamo volentieri l’invito, la serata è stata piacevole e usare qualsiasi espediente per allungarla ne vale la pena.
Ci porta verso la collina che sovrasta, con una torre, quella parte di Seoul, il percorso sembra un po’ la strada per accedere a Piazzale Michelangelo, poi entriamo da un cancello e parcheggiamo in un piazzale che si proietta sullo skyline notturno di Seoul.
Una vista mozzafiato delle mille luci nella quale risplende la città.
Per accedere al locale dobbiamo scendere alcuni gradini, è una caffetteria con tre lati che danno sul panorama della città, che in parte resta leggermente occultato da delle tende oscuranti, l’atmosfera è splendida, l’arredamento è sobrio ed elegante, la gente parla a voce bassa e in modo intimo.
Qui se ne vanno altre due ore, parliamo dei nostri paesi, di cosa li accomuna e di cosa inevitabilmente li differenzia, e in questo tipo di analisi non mi batte nessuno, sembro un sociologo navigato, faccio paragoni e mi spertico in considerazioni da Discovery Channel, poi di film, cultura, e poi le luci si abbassano e si fa buio in sala.

Lo splendido finale di serata nel locale in collina, di fronte allo skyline notturno di Seoul. 

In Italia ci aspetteremmo di vedere spuntare un cameriere con una torta irta di candeline, e qualcuno intonerebbe a voce troppo alta “Tanti Auguri a te…”, qui invece, si alzano le tapparelle che rivelano lo skyline notturno di Seoul e parte una canzone degli Asoto Union (e lo so non perché sono un cultore musicale, ma semplicemente perché l’ho chiesto). La musica ricorda quella jazz americana da Lounge bar, morbida ed avvolgente, e la voce un po’ arrochita alla Dee Dee Bridgewater ci culla col suo calore e rende il momento abbastanza magico.
Ma ogni cosa ha sempre una sua fine, la serata è stata davvero molto bella, e gli amici con cui l’abbiamo condivisa l’hanno resa uno dei momenti più belli di questo nostro viaggio. L’unico pensiero è quello di poterlo ripetere, ci salutiamo e andiamo a letto.
Ma sappiamo tutti che certi incontri, e certi momenti sono piccole perle che vanno ad incastonarsi nella collana preziosa della nostra vita, e rimarranno per sempre nei nostri ricordi. Talvolta, anche solo per la qualità di un sakè bevuto, una battuta ben riuscita, o una risata sincera.
E dopo questa botta di poesia, concedetemi di andare a letto soddisfatto, me lo merito, no?

MARTEDÌ

Oggi c’è il cielo grigio, controllo sullo smartphone le previsione, e mette acqua adesso, alle 9,00h. Bah, vedremo, ma il cielo in effetti non promette bene, spero almeno in un leggero raffreddamento dell’aria, per evitarci ulteriori sudate. Neanche il dio del tempo avesse ascoltato le mie preghiere, anche se è vero che tra un cielo grigio ed uno luminoso, la bellezza e l’ottimismo che infonde il secondo, lo apprezziamo soltanto quando ci manca.
Oggi, in programma, alle 12,00h c’è la visita alla galleria del famoso illustratore Jam Sam che abbiamo cercato invano sabato. Jieun ha interceduto per noi ed ha chiamato al telefono direttamente la galleria e questi, nelle vesti del gallerista, con cortesia tutta asiatica, oggi (giorno festivo) apre praticamente soltanto a noi per poterla visitare. Il nostro essere europei e la caparbietà con cui volevamo vederla (ma soprattutto dopo avere scoperto che in realtà Jieun è di sangue reale, e quindi è probabile che la sua posizione abbia aiutato notevolmente)), unita alla gentilezza di cui dispongono i coreani, li ha convinti ad esaudire i nostri desideri. Le difficoltà di trovarla stavano tutte nel fatto che il palazzo è una nuova costruzione e, probabilmente, questo rendeva per Google Maps difficile la sua individuazione.

Ad una fermata del metro.

Alle 10,00h abbiamo un rendez-vous con Jieun e, insieme, andremo prima al quartiere di Insadong, un posto caratteristico che vale la pena visitare, per poi dirigerci alla galleria.
Il tanto cercato Insadong non sarà che a meno di un km dall’albergo, praticamente dietro all’angolo, è un quartiere commerciale con negozi di ogni tipo, ma ad una prima occhiata sembra molto votato al piccolo commercio e all’artigianato, con una predilezione per le belle arti, che qui si traduce, come in Cina del resto, in grandi assortimento di carte e pennelli di ogni foggia e tipo. Se non fossi nel momento dell’abbandono, e non avessi già comprato pennelli di ogni dimensione (mai usati) nei miei precedenti viaggi in Cina, mi porterei qualcosa a casa. Un fascino particolare hanno anche i negozi di artigiani che realizzano timbri a mano scolpiti sulla roccia, per cui sagome, disegni e firme di ogni tipo vengono incisi dalle sapienti mani di abili artigiani uscendone come dei pezzi unici. Uno dei negozi più centrali espone una targa che con fierezza mostra una storia di decenni, il riconoscimento della Regina Elisabetta e dell’Infanta di Spagna, moglie di Juan Carlos di Borbone, attraverso due belle foto sulla porta, dimostrando la fierezza di un lavoro fatto con coscienza e amore da anni. Anche in questo caso ho già dato, ho già a casa il mio timbro personale con il mio nome scritto in cinese, anch’esso che prende la polvere in un cassetto.
Che volete che vi dica? Sono un cialtrone per queste cose.

Il quartiere di Insadong.

Prendiamo un taxi per dirigerci verso l’esposizione Jam Sam l’artista di cui avevamo perduto la visione della mostra, e dopo avere preso un caffè in un locale vicino, il gallerista ci chiama.
La galleria è piccola, e le opere non sono molte, anche perché alcune sono piuttosto grandi e meritano una parete tutta per loro, ma sono ben esposte e fanno figura. Ci sono anche quattro sculture in resina molto carine. La parte interessante di questo artista è, non solo la pittoricità delle sue pennellate (i quadri sono tutti olio su tela) che è in totale controtendenza con lo stile orientale dell’illustrazione/manga tutta al digitale, ma anche alla realizzazione personale del gigantismo degli occhi, per cui in questo caso, si può dire che a dispetto di una tendenza abbastanza omologante, Jam Sam cerca di trovare una sua strada personale nella realizzazione delle sue illustrazioni.
L’artista deve la sua fama alla partecipazione (prestando i suoi disegni al protagonista, appunto un illustratore), di una serie drama coreana di grandissimo successo. Segnalatami ovviamente da Federica, di cui è una gran divoratrice ma il cui aiuto è prezioso perché ricco di molti spunti per ogni cosa e ogni riflessione. Ringraziamo l’incommensurabile gentilezza con il gallerista che, in una giornata di festa ha avuto la cortesia di aprirci la galleria apposta, ci scambiamo i biglietti da visita, acquistiamo due splendidi cataloghi (che sono in realtà due artbook dell’artista), e ci congediamo con profusione di inchini.

Alla mostra di Jam Sam.

Poi torniamo ad Insadong per mangiare, abbiamo visto un posticino in una vietta laterale del quartiere che ha stimolato la nostra fantasia, ed è lì che troviamo posto. Il posto ha l’architettura tradizionale, è pieno di foto d’epoca attaccate alle pareti e diffonde un’atmosfera casalinga. Giusto il tempo per ritemprarci, dopo un pranzo a base di maiale piccante, noccioline cotte e altre prelibatezze locali. I pranzi non sono mai luculliani ma sembrano pensati per un’alimentazione senza eccessi ma soddisfacente.

Il pranzo ad Insadong, con Federica e Jieun.

Poi decidiamo di tornare in albergo per un breve ristoro, in modo da riuscire più pimpanti di prima per andare ad un Mall e alla torre di Seoul, poi Federica e Jieun andranno al cinema a vedere una previews di un cine-drama coreano, di cui mi risparmio la fatica di non capirci niente.
Dopo la breve sosta però, salta la visita alla torre, o meglio, arriviamo, facciamo il biglietto ma una volta in coda per l’accesso alla cabina, ci accorgiamo che la fila è lunghissima e saltano tutti i programmi fatti. Perciò rinunciamo e andiamo direttamente al Lotte Mall dove oltre ad abbigliamento e merce varia, al primo piano, tra profumi e negozi di alta moda, c’è anche una vista area che prevede banchi di dolciumi, frutta, pasticceria, cucina varie e sono previste zone ristoro ovunque.
Facciamo un rapido giro, decidiamo cosa prendere e poi, mentre uno prende il posto, gli altri si distribuiscono nel locale a prendere le loro scelte. Ma il momento non è tranquillo, tra la gente che ruota intorno alla ricerca di un posto, la difficoltà di capire i comandi strettamente in coreano (nonostante Juien), il tempo che stringe per l’inizio del film e Luca che chiama per fare due chiacchiere, ci dividiamo tutti e tre e ognuno per la sua strada.
Mi ritrovo solo nella capitale coreana. Strano, a volte penso di avere davvero un’anima un po’ solitaria, non posso dire di stare male con me stesso nonostante mi stia un po’ sulle palle, con le mie paturnie e le mie contumelie, ma talvolta sento davvero la necessità di stare in solitudine. Cammino così tra i banconi, osservo con interesse e distacco assieme tutte quelle merci esposte, la gente festante intorno, posso dire che ci sia della serenità in giro, i coreani sembrano gente tranquilla, mai stressata, non senti vociare, accaldarsi, nonostante non dobbiamo mai dimenticarci che questa gente è da settant’anni sul piede di guerra, semplicemente interrotto da un armistizio.

Ancora per le strade e i negozi di Insadong.

Oramai si è fatto buio, le enormi strade a sette corsie sono illuminate dai fari della molte Hyundai, delle Kia, delle Gradeur segno di un benessere evidente e di un industria che nutre il proprio mercato interno, a garanzia della circolazione del denaro nel proprio territorio. C’è meno gente di due ore prima ma le strade sono ancora animate, molti turisti che girovagano in cerca delle loro mete, alzo gli occhi il cielo riflesso dai vetri dei grattacieli che fanno da sentinella a questa metropoli moderna, l’aria è fresca, e il leggero vento mi accarezza i capelli ricordandomi che finalmente siamo arrivati ad Ottobre, e si sente.
Incontro il fiume Cheonggyecheon Stream che è una caratteristica di questa zona e che abbiamo percorso ogni giorno, come una costante della nostra permanenza nella città. Sento la musica fatta da un’artista di strada e scendo ad ascoltare, intorno al ragazzo che suona magistralmente e in violino si sono accalcate diverse persone, anche sull’altra riva, e lo incitano con applausi e andando a tempo. Lui è scatenato, si vede che si diverte, si avvicina ai bambini che gli ridono e gli applaudono contro, è il re della festa mentre continua a suonare questa musica gioiosa e coinvolgente.

Da solo, il ritorno all’hotel, tra le mille luci di Seoul.

È un giovane artista alla ricerca della sua strada, come molti, un esercito di giovani pieni di speranza, e gli auguro di trovarla, davvero, con tutta la tenacia e la perseveranza di cui è capace. E se non fosse così, che sia felice comunque come lo è in questo momento.
Sono arrivato, il gigante di guardia al Lotte City Hotels di Myeong-Dong, come ogni volta mi fa l’inchino. Salgo in camera e mi preparo a fare la valigia.
Domani si cambia città, andiamo a Busan.

 

MERCOLEDÌ

Il sole splende anche di mercoledì, ma oggi si parte.
Il taxi prenotato il giorno prima ci viene a prendere in perfetto orario, e ci lascia alla stazione in appena cinque minuti. Il ricordo del traffico dei giorni precedenti (tra festivi e prefestivi), è solo un lontano ricordo.
Il binario è assegnato a soli dieci minuti dalla partenza, è una moltitudine di persone si avviano verso i binari, ai quali si accede attraverso una scala mobile. Busan è la seconda città coreana, e quindi è normale che il traffico sia intenso. Ma tutto procede in modo ordinato e senza complicazioni, tutti posti sono prenotati e quelli che devono viaggiare in piedi lo sanno già.
Abbiamo quasi tre ore di viaggio, e Federica mi convince a realizzare uno spazio Instagram professionale. Non ho la forza di rivelargli che forse mi servirà a poco, visto l’idea di ritirare i remi in barca che oramai mi sta conquistando, e quindi che mi servirà a ben poco, ma è anche pur vero che ho un sacco di roba da far vedere, e che forse a qualcuno piace vedere, e la assecondo.
Comincio ad aprire uno spazio (uno ce l’ho già, ma è più per permettermi la navigazione e seguire i miei figli che oramai snobbano il faccialibro) e riempirlo di quelli che oggi vengono chiamati “i contenuti”, per cui, almeno da oggi, qualche mio “contenuto” su Instagram potete trovarcelo.
Adesso smetto di scrivere e mi dedico alla visione del paesaggio.

Busan e i suoi palazzi, poi l’imponente struttura che ospita il BIFF il festival del cinema di Busan (la manifestazione più importante del settore).

No, a dire il vero non ho visto un bel niente, come ho chiuso l’IPad mi sono addormentato, e vabbè. Non è che in questi giorni abbia dormito benissimo, forse l’aria condizionata troppo alta, gli strascichi del jet-lag, i il piumone troppo caldo fatto sta che diciamo mi sono rilassato troppo.
Alla stazione prendiamo un taxi, Busan ha un aspetto completamente diverso da Seoul, ha piccole alture che costellano il suo territorio e si trova in riva al mare, appare meno giganteggiante nei suoi edifici (ma questo dipende anche dalle zone che stiamo attraversando), prima di passare quello che appare un’ estuario, di fronte a noi vediamo una costruzione avveniristica che sembra un’ astronave adagiata vicino all’acqua. Ne rimango stupito e mi dico che ci ritornerò a vederla.
L’albergo è il Centum Primus Hotel, e il tassista ci deposita davanti con il nostro stupore, l’ingresso è un po’ più all’interno del marciapiede e non è ben visibile dalla strada. È un 4 stella leggermente più compassato del precedente, un po’ più disadorno, ma al contempo funzionale. Prendiamo le camere e dopo un’ora e mezza ci ritroviamo nella lobby per fare il punto della situazione.

La vista dalla camera 505 del Centum Primus Hotel.

Dobbiamo cercare di capire la dislocazione dei centri in cui dovremmo andare per capire come e con che tempi muoversi. Ci incamminiamo verso la strada dalla quale siamo arrivati e che costeggia il fiume(?), il traffico è molto intenso, ci sono incolonnamenti ovunque, del resto è l’ora di punta e tutti, come in tutto il mondo, tornano a casa, o tentano di farlo. Poi, consultando le varie mappe digitali (Google Maps non funziona benissimo qui, e quella locale scaricata da Federica ha caratteri coreani), ci accorgiamo che in realtà sembra tutto piuttosto vicino.
Ma oggi è anche il primo giorno del BIFF Busan International Film Festival, la manifestazione di cinema più importante della Corea e, neanche a farlo apposta, sta aprendo i battenti con il tanto atteso Opening proprio lì vicino. La folla si accalca sui marciapiedi, frotte di poliziotti sciano il traffico permettendo alle auto diplomatiche nere che devono soffermarsi al red carpet, di accedere nel miglior modo possibile. Fotografi sui lati del tappeto rosso posizionato sotto l’ampia volta del palazzo futuristico (?) che avevo notato precedentemente, insomma, eravamo capitati propri nel bel mezzo di un evento, ben prima che si partisse il nostro.
Federica, da quella appassionata di film e serie drama coreani che è, si è sciolta in un brodo di giuggiole, come una ragazzina davanti al divo preferito, ha iniziato a scattare foto e abbiamo cercato di individuare i punti migliori per sbirciare qualche attore all’arrivo. All’intento era stato realizzato credo una ulteriore passerella con un’ampissimo platea di persone sedute che potessero godersela, evidentemente è davvero un appuntamento importante per il cinema di questo paese.
Riprendiamo la nostra esplorazione ma, aiutati da un micio che fa capolino da un tetto di una costruzione ed alcuni manifesti, ci accorgiamo che il Bwebtoon Fest è proprio lì accanto, come il teatro dove domani dovrò fare la mia performance dove speriamo di essere all’altezza.

Il primo impatto con il Busan Global Webtoon Festival, la sera prima dell’apertura.

Continuiamo la nostra camminata in circolo, perché in realtà è questo che abbiamo fatto, una sorta di circumnavigazione di un isolato, l’aria si è raffrescate e c’è anche un po’ di vento, si sente che l’aria di mare ha ben altra intensità, la temperatura è sicuramente più bassa. Passo dopo passoci troviamo dietro a un’ulteriore Lotte Mall, gigantesco dove entriamo, se anche questo è uguale a quello di Seoul, sotto il primo piano ci dovrebbero essere molti ristoranti. È così, stessi ristoranti e stessa affluenza di persone, ma siamo vicini alle 20,00h e siamo in chiusura, ci accorgiamo che molti punti ristoro stanno chiudendo i battenti, decidiamo allora di dirigerci altrove.
Troviamo un ristorante proprio di fronte all’ingresso dell’albergo, è carino ed ha posti liberi, l’ora è quella giusta e ceniamo.
Da quando siamo qui non abbiamo più fatto una cena occidentale, a me non manca molto (forse perché so che tutto sommato non manca troppo al ritorno), ma in realtà i cibi sono saporiti e spesso scelgo quelli piccanti, e sono gustosi.
Non abbiamo tempo per altro, anche perché non sappiamo lì intorno che cosa c’è, anche se all’apparenza, oltre questi negozi intorno d un paio di incroci, non mi pare ci siano grandi alternative, e forse entrambi siamo già presi da quello che dobbiamo fare, ed è così che decidiamo di andare a letto.

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