Terza settimana di fila, e dopo Napoli e Albissola adesso tocca a Torino ed il suo Salone del Libro, la più importante manifestazione dell’editoria italiana. Quest’anno, causa il clima politico teso e incattivito e la polemica dell’editore fascista inserito all’interno della manifestazione, non si è parlato altro che di questa aspetto, tanto fastidioso quanto strumentale.
Già che ci sono voglio dire la mia.
Tutto nasce da l’intervista rilasciata da quel genio della comunicazione e grande statista di Matteo Salvini che si è scelto come editore un simpatizzante di Casa Pound, un dichiarato fascista e un picchiatore già inquisito per lesioni, un curriculum di tutto rispetto e già degno di nota, il che farebbe scaturire un’immediata domanda, perché questo grande personaggio che si erge per statura e dirittura morale su tutti, ha scelto proprio questo editore?
Come può non essere strumentale una scelta del genere, nel momento che avrebbe potuto pubblicare con chiunque altro editore e sicuramente più importante di questo, visto la sua popolarità e la sua incredibile ascesa?
Alla notizia della presenza di tale figuro, generale sdegno e legittima alzata di scudi da parte di scrittori che hanno dichiarato di non presenziare alla manifestazione per non dover condividere spazi con tale soggetto. Ora, io sono d’accordo sia con la levata di scudi, lo sdegno e anche la diserzione coatta, l’apologia del fascismo è un reato penale sancito dalla Costituzione, ma sono anche convinto che se non si fosse fatto tutto ‘sto po’ po’ di casino, di questo editore (di cui ometto volontariamente il nome) nessuno avrebbe avuto notizia o se lo sarebbe filato, mentre adesso ha goduto di una pubblicità gratuita senza precedenti su TV e giornali.
Detto questo, alla fine ci hanno messo una pezza i politici (proprio quelli che avrebbero dovuto rimanere fuori dalla querelle per non tingerla dei toni di campagna elettorale), il sindaco di Torino Chiara Appendino, e il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, hanno denunciato per apologia del fascismo l’editore che è stato prontamente estromesso dalla manifestazione.
Altra cosa sarebbe stata se l’organizzazione stessa gli avesse negato la partecipazione per i suddetti motivi ma, anche qui, ci sarebbe da indagare quanti e se esistono altri editori di tale specie e con le medesime simpatie che magari sono presenti, perché il confine della legittimità e delle libertà d’espressione, in questi così è davvero appeso ad un filo.
Insomma, il solito grande casino all’italiana, dove le scelte, le considerazioni e le prese di posizione e di responsabilità, quasi mai sono prese dalla persone preposte, e dove tutto diventa sempre opinabile e discutibile, salvo trovare una soluzione in extremis che dimostra di che pasta siamo fatti.
Veniamo a noi: la partenza è sotto un pallido sole, non ancora convinto delle sue possibilità, quasi gli avessero detto che quest’anno si deve risparmiare.
Il FrecciaBianca che mi porterà a Torino in meno di quattro ore è in perfetto orario e già piuttosto pieno.
Io a dire la verità sono un po’ stufo di queste continue corveé, mi diverto sempre meno, anche se riconosco che sono esperienze importanti, il fatto è che si addensano sempre in determinati periodi togliendoti il respiro, mentre io adoro i fine settimana di questo periodo quando, sole permettendo, la voglia di andare sulla spiaggia è ancora arrembante e deve essere fatta nelle modalità asciugamano steso, con la rena che ti entra da tutte le parti, con la scomodità dell’arenile e l’agente che si divide gli spazi in ordine di arrivo.
C’è poco da fare, sono un animale da mare.
Sono anche un po’ indisposto, e la cosa non mi mette nelle condizioni ottimali, anche se alla alla fine tornerò con un bagaglio di esperienze in più e sarò pure contento, come sempre, ma devo sempre lamentarmi, che volete che vi dica, son fatto così, sopportatemi.
Il tempo pian pianino sta peggiorando, il cielo si sbianca e sembra replicare il fine settimana passato, la bella Liguria, che vedo a sprazzi perché mi appisolo spesso tra una galleria e l’altra, quando sono sveglio mi propone una vista bellissima, è una delle prerogative dei viaggi in treno sulla riviera, il mare è talmente vicino che sembra di toccarlo, peccato, col sole l’effetto sarebbe stato fantastico.
L’arrivo a Torino è in orario, e vista l’ora decido di fermarmi ad uno snack bar per mangiarmi qualcosa, devo evitare formaggi e latticini perché ho problemi intestinali per cui opto per gli unici due tramezzini confezionati privi di quegli ingredienti, con prosciutto e funghi, ma il sapore è davvero da dimenticare, ma questa si chiama sopravvivenza, anche se già dall’aspetto tutto indicava che dovessi rivolgere le mie attenzioni altrove o addirittura rinunciare. L’hotel è davvero a un tiro di schioppo dalla fermata Susa anzi, ancora di più da quella successiva XVIII Dicembre. All’ingresso le quattro stelle fronteggiano con orgoglio accanto alla porta ma l’albergo ha esagerato nel sopravvalutarsi, ad ogni modo è ampio e confortevole anche se la struttura ha i suoi anni la camera è ottima e non posso davvero lamentarmi.
Sistemo il bagaglio e riparto, i tempi tecnici ci sono ma amo essere in orario,
All’uscita dalla bella Metro torinese, snella ed elegante (nel senso che è più corta, più moderna è molto più stretta di quella milanese, ad esempio), mi ritrovo un cielo che si è aperto e punteggiato da qualche nuvola che ogni tanto ristora con la sua ombra dai raggi del sole che, a quanto pare, ogni tanto ha bisogno di qualche prova di forza.
Chiamo le ragazze della Tunué/il castoro e Giulia mi prega di aspettare, avere il pass non è facile, gli autori di fumetti sono figure che ancora l’organizzazione fa fatica a riconoscere, per cui la cosa è abbastanza complicata.
Lo stand Tunuè/il castoro al Salone del Libro di Torino.
Nell’attesa vedo passare Giulio Giorello e Goffedo Fofi, del resto questa è l’occasione dove l’intellighentia italiana si mette in grande spolvero e quasi tutti, tra autori, intellettuali, professori, giornalisti, opinionisti e quant’altro, sono qui o a dedicare, promuovere o moderare insomma, in un modo o nell’altro ci devono essere.
Ecco un grande motivo per poter mancare, e invece ci sono pure io (che pure sono microscopico).
Comincio con le dediche e, l’unica cosa che mi va di sottolineare è l’arrivo di un ragazzino meridionale di 14 anni, che facendomi un sacco di domande e mostrando una curiosità che dovrebbe essere naturale a quella età, ma che spesso latita, alla fine ha acquistato il mio “Di altre storie e di altri eroi”, per me: una vittoria.
Poi le canoniche due ore di firme, con un’affluenza di pubblico normale.
Alla fine decido di alzarmi e andare a fare un giro, la struttura è enorme e gli stand si affastellano l’uno sull’altro, gli spazi però sono ampi e permettono al gran flusso di persone di muoversi agevolmente. Di fronte a me incomincia a snodarsi una fila molto nutrita, non capisco bene né dove nasce e in che direzione va, ma seguendo il serpentone di persone che taglia corridoi e si interrompe solo in quello centrale, per riprendere subito dopo, mi accorgo che arriva alla sala rossa, dove si attendono le 18,30 e l’inizio dell’incontro con Michela Murgia, vera vedette del pomeriggio.
Continuo il mio girovagare, intravedo Vittorio Scurati che dovrebbe avere un incontro moderato da Francesco Piccolo ( di cui sto leggendo proprio adesso un libro), ma anche qui la fila è enorme e chissà se tutti riusciranno ad entrare. Molti stand sono ben curati, altri piccoli e senza sfarzi architettonici, ma tutta l’editoria nostrana credo che sia rappresentata, e anche la compagine di editori di fumetti vedo che, anno dopo anno guadagnano terreno. Di fronte a tutta questa opulenza, questa offerta di cultura e di carta vi risparmio le mie constatazioni, non sono dell’umore giusto e sto vedendo tutto di traverso, non sto benissimo e questa inficia ogni mia riflessione.
Poi vedo un nutrito gruppo di persone affollate intorno allo stand di Robinson, il supplemento de la Repubblica, e qui sta parlando Michele Serra, allora mi fermo per sentire che ha da dire, è sempre un gran piacere ascoltarlo.
Arena Robinson: Michele Serra e Gregorio Botta.
Le ore passano e decido il da farsi per la cena, alle 22,30 ci sarebbe la festa presso la Scuola Holden quella di Baricco per intendersi, dove tra l’altro sarei accreditato e, tra l’altro, non è neanche troppo lontana dal mio albergo.
Esco ben oltre le 20,00 dal salone, e all’ingresso della Metro il flusso di persone viene interrotto dagli addetti per permettere un defluire più corretto e meno congestionato: troppa gente.
Arrivato in albergo mi distendo un po’ ma non sto molto bene, mi sono svegliato molto presto, perfino troppo, ho dei seri dubbi che mi attanagliano per tutta la sera sulla partecipazione all’evento, vado in un ristorante vicino e mangio un pasto anemico e quasi insapore da ospedale, e anche da questo ho la percezione della mia interdizione.
Rientro in camera e, nonostante tutto, devo rinunciare.
Sono sfinito e non solo per la stanchezza.
La festa, la VERA festa del Salone (così almeno mi hanno detto quale essere quella organizzata dalla Holden, per le persone che “contano” – e mi viene da ridere-) dovrà fare a meno di me, mi dispiace, molti non se ne faranno una ragione ma così è, l’ineluttabilità della vita con i suoi imprevisti deve fare i conti anche con le assenze.
Mi dispiace davvero, a parte gli scherzi il motto di “ogni lasciata è persa” è sempre presente nel mio modo di interpretare la vita, ma questa sera devo proprio dare forfait.
A domani.
Il corridoio centrale della manifestazione. e la “torre di libri”, presenza costante del salone.
Mi sveglio presto, anche perché non sono andato a letto molto tardi, ma non sono dispiaciuto di avere saltato la serata, segno evidente che il mio bisogno di riposo era maggiore del desiderio di presenzialismo.
Mi rigiro nel letto e guardo l’ora, è troppo presto per alzarsi, e allora decido di godermi la sensazione di immobilità che è corroborante quando il fisico chiede pietà.
Anche stamani ho problemi, faccio colazione a base di the, e qui scopro tutto il gruppo della Polizia di Stato con Annalisa Bucchieri, la direttrice del magazine con il quale ho collaborato per il calendario del corpo, neanche a darci appuntamento, ci ripromettiamo di incontrarsi all’interno del salone, ovvio che siamo entrambi li per quello. Mi fermo alla reception per consigliarmi una farmacia di turno, il concierge smanetta sul PC e mi da l’indirizzo: si trova a una ventina di minuti da lì, ho tempo, si può fare.
Faccio le mie ultime abluzioni ed esco, la giornata è piuttosto luminosa, la mattinata torinese è ancora abbastanza pigra e via Cernaia non mi pare brilli per movimento, anche in serate normali, figurarsi la domenica mattina.
Nella camminata guidata da Google, mi gusto la città: Torino è davvero bella, ampie strade fiancheggiate da alte piante verdi che ombreggiano i viali, piazze ben curate dove fontane di foggia sabauda spruzzano acqua con gioiosa intermittenza, alberi secolari a sentinella di piazze e slarghi, lunghi colonnati che proteggono i passanti dalla pioggia, la pianta di origine romana squadrata e tutto è ordinato come solo da queste parti sanno essere.
La triste sorpresa è che, oltre ad avere sbagliato il numero civico della farmacia, quella in via XX Settembre è chiusa; e siccome chi fa da se fa per tre (è bene sempre tenerlo a mente), cerco io sul web e mi metto in comunicazione con una che invece fa servizio 24 ore su 24, e non è lontanissima da lì. Per fortuna.
Un medico molto scrupoloso ed educato alla maniera sabauda, e cioè di quella educazione cortese e un po’ rigida ma che proviene da lontano, mi vende due confezioni di compresse alla bisogna, spiegandomi con dovizia di particolari la posologia.
Sono praticamente alla stazione di Porta Nuova, per cui prendo la Metro. E mi dirigo al salone.
Qui vado dritto allo stand e prendo posizione, e comincio a fare dediche, l’unica cosa per il quale sono deputato in queste occasioni.
E il tempo passa, e anche in questo caso vi risparmio le mille riflessioni che, in automatico, scaturiscono dai miei ragionamenti mentre faccio i disegni.
Alla fine del mio turno decido di salire al piano superiore dove ci sono i ristoranti, vado verso il self-service per avere un controllo del cibo che voglio scegliere e sopire una fame che a dire il vero latita ma, come dice mia moglie, la paura di morire di fame ha sempre il sopravvento su tutto, e alla fine, non essendoci un risottino che speravo fosse tra le scelte, scelgo per un assaggio di due primi senza latticini ma, a dire il vero, anche senza sapore. Un po’ meglio una macedonia a guarnizione del tutto, ma anche qui incontro Annalisa proprio in fila dietro di me per la scelta dei primi e decidiamo così di pranzare insieme.
Poi ci separiamo, lei torna al suo stand io gironzolo per arrivare alle 18,00 quando io l’altra sessione di dediche.
Allo stand di Robinson c’è Federico Rampini, corrispondente da NewYork di la Repubblica e voce intelligente e acuta del nostro giornalismo, non fosse altro per la grande esperienza all’estero che gli permette di avere una visione globale e mai parziale dei problemi, mi fermo per quasi l’intera ora di chiacchierata, si parla del suo libro con Gregorio Botta che fa da mediatore, ma si toccano temi di attualità, politica e politica estera; davvero molto interessante.
Arena Robinson: Federico Rampini e Gregorio Botta.
Poi mi dirigo allo spazio chiamato Oval, una nuova grande struttura, leggermente esterna alla parte centrale del salone, dove sono allocati i grandi editori (ma non solo), ci si arriva uscendo e percorrendo un corridoio realizzato con una tenso-struttura, dove i due sensi di marcia dei visitatori è regolato da una divisione centrale, lo spazio è enorme, e molto bella la struttura portante sovrastante, qui addirittura i corridoi tra gli stand sono più ampi, mi aspettavo cose più mastodontiche ma la varietà degli stand, per allestimenti e grandezza è variegata, spicca lo spazio Rai sul lato destro dello spazio, con un enorme palco è uno schermo alle spalle, davvero molto suggestivo.
Ci si imbatte in giornalisti e scrittori mediamente noti se si è fisionomisti, si riesce a scorgerne diversi, mi fermo anche in un punto incontri minore, in uno spazio della Regione Calabria (non è la sola, molte regioni hanno spazi di rappresentanza) dove una voce conosciuta sta parlando, è Vittorio Sgarbi, davvero ci sono proprio tutti, il Salone è il ricettacolo di ogni personaggio conosciuto (incluso Rocco Siffredi, mi dicono, anche non so a fare cosa, sicuramente promozione ma a cosa?), più in là Farinetti fondatore di Eataly pontifica sulle nostre diversità biologiche reclamizzando un libro di cucina, nello spazio di Rai3, Farheneit ha terminato il suo incontro e adesso tocca alla Banda Osiris intrattenere il gentile pubblico.
Dall’alto in basso: Vittorio Sgarbi presso lo spazio Regione Calabria, la Banda Osiris al padiglione Rai e Oscar Farinetti allo spazio Gastronomica.
C’è anche lo stand della Sergio Bonelli Editore (dove saluto Gianfranco Manfredi) in condivisione con BAO Publishing, con una separazione tra le due schiere di autori che, allineate e posizionate come un plotone di esecuzione, sono l’esempio esplicativo di come sta cambiando il nostro settore e come tutti, con risultati alterni, cerchino di porvi rimedio sparigliando con politiche diverse. Ma la sproporzione della fila di Zerocalcare, con il quale ogni competizione è persa in partenza, e gli altri autori bonelliani, è impressionante.
Il mondo cambia e noi ne stiamo vivendo la trasformazione.
Il fumetto popolare tenta di traslarsi nelle librerie, è una mossa sensata anche perché il fuggi fuggi generale dalle edicole è la diretta conseguenza della chiusura di molte di queste, il fortino della cultura, dell’informazione e del divertimento che una volta si distingueva in quel chioschetto ricoperto di giornali, non è più un polo attrattivo; l’informazione a buon mercato (gratis) sul web e gli spazi che le librerie aprono al fumetto (anche perché i grandi editori si sono accorti che a parità di spesa, il fumetto non vende meno della letteratura, anzi) tutto questo sta mutando i nostri punti di riferimento, e la Bonelli in quest’ottica, se non vuole perdere il proprio “core business” (come dicono quelli che se ne intendono), deve adeguarsi, resta da capire se le mosse che sta facendo vanno in questa direzione e siano giuste. Di certo il panorama cambia, le frotte di lettori abituati a spendere poco per gli albi ed avere gratis le firme dispensate con benevolenza allo stand Bonelli, oltre che a essere sempre i soliti, stanno diminuendo, e nel momento che le firme e le file, saranno misurate nei lettori disposti a comprare i propri libri, a costi non più bassi, si conteranno quanti di questi lettori ci saranno ancora.
Incontro Antonio Vincenzi in arte Sualzo, con cui facciamo due chiacchiere e gironzoliamo tra gli stand, poi ci dividiamo lui torna allo stand, io continuò ancora per un po’, ma sono davvero stanco, queste camminate infinite alla fine si trasformano in chilometri, e finisco per dirigermi al padiglione centrale e verso lo stand Tunuè/il castoro che, a dire il vero, ha il pregio di aver una struttura molto alta e visibile anche da lontano, non che sia difficile l’orientamento, ogni corridoio è contraddistinto da leggere molto grandi, ma aiuta.
Comincio la mia sessione di firme, ma l’orario 18,00-20,00 non aiuta, è domenica e la gente scema pian pianino diradandosi, e alla mia ora mi alzo e me ne torno all’albergo, non sto benissimo e non vedo l’ora di rientrare.
La serata non è memorabile, torno al ristorantino di fronte all’albergo e mi prendo una pizza napoletana senza mozzarella, per evitare latticini, e neanche la finisco, segno evidente che non sono al cento per cento.
Tutto il resto è prevedibile.
La mattina mi sveglio dopo una sonora dormita, segno evidente che sto meglio, e anche i tamburi di guerra dentro la mia pancia sembrano tacere.
Sto attento alla colazione e misuro quello che mangio come non faccio mai, sembro perfino una persona seria, incontro Annalisa e la saluto di nuovo con tutto lo staff del magazine della Polizia (con il quale evidentemente condivido gli orari e circostanze), mi preparo e me ne vado.
Il Lunedì mattina è giornata di scuole, e lo si vede dalle colonne di marmocchi, ragazzi e adolescenti in fila fin dalla metropolitana, i serpentoni vocianti guidati da professori volenterosi si snodano verso le entrate, ci sarà una bella caciara.
Lascio la mia roba allo stand e me ne torno all’Oval, sede delle case editrici più grandi, mi voglio dedicare all’osservazione di quel che viene proposto, se avrò la forza di farlo, la quantità di pubblicato è abnorme, ma è pur vero che delle molte quarte di copertina di libri che mi incuriosiscono e che leggo, le comprerei quasi tutte, segno inequivocabile che per dare risposte alla polifonia di domande e curiosità delle persone, ci vogliono molte voci.
Lapalissiano, ma vero e non sempre considerato.
Poi per carità, dopo aver letto la quarta di After (dal quale hanno tratto un film di successo), ti rendi anche conto che alcune cose sono fatte con il misurino (ragazza bella, onesta, fidanzata e di buona famiglia e perfettamente integrata con futuro quasi già scritto, dal primo giorno di college si imbatte nel tipo bastardo, controcorrente e ribelle che le sconvolge la vita e le fa perdere la testa -cazzo, ideona, mi dico- risultato: caso letterario e successone), e quindi se la questione è ritrita, vuol dire che tra il dosaggio degli elementi e la miscelazione giusta, qualcosa nel mezzo ci deve pur essere, altrimenti saremmo buoni tutti, o no? O siamo tutti delle pecore a cui devono dare sempre il solito pastone?
E comunque mi divido tra Feltrinelli, Einaudi, Fazi, Newton&Compton e mette mi stordisco di titoli un ragazzetto da villaggio vacanze intrattiene dal palco Rai un nutrito gruppo di ragazzini urlanti e coinvolti in un discorso sui libri, probabilmente in presa diretta su Yo-Yo (canale tematico Rai per i ragazzi), credo. Ma dopo un po’ vado in overdose di informazioni visive e non e me ne torno allo stand.
Padiglione Oval.
L’orario è scellerato, per non dire superfluo, dalle 12,00 alle 14,00 in piena pausa pranzo e nel giorno scolastico la mia presenza è presso che inutile, ma io da buon soldatino marcio ordinato e ubbidiente, salvo annotare l’osservazione sul mio personale taccuino per riferimenti futuri.
Termino prima, non ho più libro da dedicare, tra un po’ dedico perfino le scatole in cui sono stipati i libri, e me ne vado a mangiare, ma prima di entrare nello spazio ristorazione mi soffermo un attimo a guardare fuori dai finestroni che mi separano dall’esterno, seppur in prossimità di Giugno sullo sfondo le Alpi hanno ancora le cime imbiancate dalla neve e osservano Torino dall’alto, e il panorama illuminato da un nitido sole, è davvero tutto molto bello.
Al mio ritorno saluto tutti e con armi e bagagli mi dirigo alla metropolitana accompagnato da scolaresche che per oggi hanno saltato scuola, fatto una bella esperienza e iniziato bene la settimana, beati loro.
Torino è pulita, ordinata e da l’idea di una città dove le cose funzionano come dovrebbero funzionare, sarà una tradizione di stato che proviene dalle origini transalpine, o dalla continuità della buona amministrazione o sarà lo spirito sabaudo, sicuramente proviene da una cultura e da uomini che di tutto questo hanno fatto tesoro, fatto sta che è questa l’immagine dell’Italia che mi piacerebbe avere e che, purtroppo, è presente solo sporadicamente.
Il Salone del Libro è un grande evento, il più importante dell’editoria italiana (non oso immaginare cosa possa essere Francoforte), e l’impressione che se ne ha è che, come ogni evento importante il primo diktat da soddisfare è: ci devo essere (credo che queste considerazioni possano estendersi sia agli editori che agli autori).
Oramai non si sfugge più a questa affermazione che sta diventando un mantra per chiunque abbia a che fare con la comunicazione ed affini, e siccome se ci sei devi farti vedere, il tutto si trasforma in passerella o in spettacolini dove richiamare attenzione ed attenzioni. Anche perché diciamocelo: le dirette (con voci impostate e sorrisini di chi è abituato ad interviste, perché figurarsi ragazzi, siamo gente di mondo – tranquilli pueblo, l’ho fatto anch’io, mica sono migliore degli altri), le foto, le gallerie su Instagram sono testimoni della nostra vita, ci accompagnano, ne danno un senso sopratutto misurano quello che siamo, perché noi non lo sappiamo, ma gli altri sì, e c’è ne danno testimonianza con gli I like.
Tutto è una passerella, tutto è impostato sul personaggio famoso, sullo scrittore di grido, la star televisiva e l’editoria non ne è immune anzi, tutti scrivono (o si fanno scrivere) libri: calciatori, attori, pornostar, cuochi, casalinghe cuoche, politici e chi più ne ha più ne metta, l’importante è che abbiano un briciolo di notorietà, quel tanto che basta per vendere il numero sufficiente di copie per cui all’editore valga la pena la pubblicazione: è un’industria, cari miei. Detto questo però, non saprei dire quanta gente compra libri (certo che sì, ovviamente, ma in quale misura?), anche di quelli che hanno fatto la fila per ascoltare gli autori dal vivo, perché spesso l’importante è solo esserci, ma poco importa il libro di cui si parla, è sufficiente “averlo visto” il personaggio, ed avere respirato la stessa aria.
L’ho già scritto ma That’s All Folks! Niente più sfugge a questa regola, che ci piaccia o meno.
Intendiamoci, gli incontri sono molto interessanti e i personaggi di grande spessore, la cultura qui da il meglio di sé e riesce anche ad essere popolare mischiandosi con ogni tipo di argomento, ci mancherebbe, ma commercialmente non sono sicurissimo che il rapporto costi-benefici si orientino verso il positivo. Perché tra ospiti e costi di viaggio-ristoro-pernotto costo di stand e allestimenti ad hoc, standisti et similia forse le grandi case editrice riescono a nascondere nei loro bilanci queste spese, ma per le altre?
Ad ogni modo non è un problema mio, io mi limito a pormi delle domande, spesso
polemiche e con un pizzico di cattiveria, ma non posso farne a meno, perché è vero sottolineare le qualità, sempre, ma non posso fare a meno di vedere anche altro.
Di ritorno: il riflesso delle mie considerazioni sul volto, mentre osservo il paesaggio piemontese che mi scorre a fianco.
Sono contento? Chissà?
Adesso sono in un comodo FrecciaBianca diretto a Roma Termini, posso scrivere sul mio IPad appoggiandolo sul comodo tavolino a scomparsa e allungare le gambe a mio piacimento, il sole bacia i paesaggi delle Langhe ed ogni tanto butto l’occhio fuori per osservare questa campagna ordinata e ben coltivata, da un senso di piacevole raccoglimento, al di là di tutti i chiacchiericci, gli sparlottamenti, gli atteggiamenti di questi giorni, la campagna trasmette una tranquillità di chi sai che qualcuno per fortuna lavora, e lavora sodo: per me, per noi, per tutti.
Giusto per rispondere alle speranze espresse all’inizio del report, e per dimostrare oltre alla coerenza, anche quanto questo sia fresco come un’insalata appena colta nell’orto, posso smentire quello che auspicavo: non sono contento, il bagaglio di esperienze è minore di quello che mi aspettavo, mi sono divertito poco (questo sicuramente anche a causa della mia indisposizione), è quindi faccio bene a lamentarmi anche in anticipo, non serve a nulla, ma dimostra linearità di pensiero.
Certo ce ne vuole da parte vostra arrivare fino a qui, anche se siete in pochi.
Per tutto questo: Grazie!