Come natura vuole, la primavera è l’artefice di ogni risveglio letargico, anche il mio, anche se a dire la verità io avrei dormito volentieri ancora un po’ ma, come oramai è consuetudine, il nostro lavoro ci impone tour e partecipazioni promozionali per i nostri libri. Tanto è difficile venderli che prima o poi dovremmo trasformarci in venditori porta a porta.
Sono reduce da una simpatica inaugurazione di una mostra flash a Grosseto, inaugurata il 24 Aprile all’interno del Festival Resistente che si concluderà il 27 Aprile, cioè sarà già conclusa al momento della pubblicazione di questo report. Una mostra fatta in collaborazione con l’ISGREC, l’istituto degli studi storici di Grosseto, ente con il quale avevo già collaborato in occasione del libro “Di altre storie e di altri eroi”.
Manifesti della mostra organizzata da l’ISGREC a Grosseto.
A lato dell’IPad vedo l’elenco dei report fatti e le date che si susseguono mi ricordano l’incalzante frequenza con la quale ho partecipato a festival e manifestazioni nel periodo autunnale, e mi stresso soltanto a leggerle; l’ultima in ordine cronologico è Angouleme, fine Gennaio, quasi tre mesi fa, e un ricordo che al di là dell’ottimo andamento del libro promosso (Mimbrenos, il mio primo western), non è memorabile.
Ma cerchiamo di girare pagina, anche se il mio status non è entusiasmante e, a dire la verità, sarei rimasto volentieri a casa, ma oramai questo tipo di lamenti fanno parte del tedioso momento che sto attraversando, mentre invece l’agenda vede un Maggio con molti impegni e con probabile sorpresa finale, una presenza addirittura extra-continentale.
Ma vedremo, e ad ogni modo dovrò, come sempre , fare buon viso a cattivo gioco, ammesso che poi il gioco sia così cattivo.
In realtà a Napoli vado sempre volentieri, non essendo una tappa abituale, ogni volta entrare nella città partenopea coincide con una sorta di piacevole condizione turistica, ma sono proprio io che in questo periodo di totale indeterminazione faccio fatica ad appassionarmi, a trovare stimoli convincenti e progettualità lavorative. Si va, in balia della corrente, aspettando un approdo che al momento non è visibile all’orizzonte, e non è neanche spiacevole come condizione, se non fosse come un limbo asettico.
Asettico come la giornata di questa mia partenza, conseguente seguito della precedente, che era partita con i migliori auspici sotto i raggi di un bel sole primaverile, e terminata con qualche goccia e un’anemia lattiginosa che sbianca il cielo anche stamani.
L’Intercity proviene da Sestri Levante e arriverà diretto a Napoli dopo cinque ore filate e poche fermate, il treno è già piuttosto pieno, e i miei compagni di viaggio sono una improbabile coppia di mezza età che fino a questo momento si è lamentata solo di rapporti familiari difficili: lei sembra una zietta inglese con un cesto d’insalata di capelli rossi in testa, lui ha la faccia non propriamente vispa con un mento a grondaia, e da come si agita dimostra una notevole difficoltà a stare fermo e, se non ricordo male, è sceso proprio a Cecina per accendersi una sigaretta al momento della sosta del treno, segno evidente di una dipendenza da cronico tabagista.
Accanto a me invece, sono salite a Campiglia una coppia di napoletane veraci della serie “gemelle diverse”, nel senso che pur condividendo delle analogie, sono diverse per età e taglia, una extra-large, l’altra extra-minimum, ma entrambe super truccate e dai capelli corvini, sopracciglia rasate ma accuratamente disegnate, oltre che una maniacale attenzione alle unghie, rigorosamente curate e laccate. Su una di loro, tatuata sull’avambraccio tra decori floreali, ombrellini, ciliegine, ferri di cavallo e bocce di profumo spicca un’ode degna del miglior D’Annunzio Ti amo perché io ho te, tu hai me, ed insieme abbiamo tutto, sono commosso da cotanta profondità e genuina condivisione, e a stento mi rimetto a scrivere.
Sono in buona compagnia, il viaggio può cominciare anzi, è già cominciato.
Mi metto a leggere un libro di un amico scoperto tardi ma che si sta rivelando una persona preziosa.
Del resto meglio leggere qualcosa, se continuo a scrivere per l’intero viaggio (e ne sarei anche capace), finirei per uccidervi definitivamente.
Ma per fortuna il libro mi piace e poco prima di arrivare, mi accorgo di essere a poche decine di pagine dalla fine.
A Napoli Centrale, poco prima di scendere chiedo ad una signora napoletana quale linea di metro prendere per andare a Campi Flegrei, si tratta della Linea 1, mi dice amorevolmente e carica di entusiasmo. Sicuro dell’indicazione, appena trovo la relativa biglietteria, immaginando un certo viavai, acquisto senza battere ciglio cinque biglietti (convinto, erroneamente, che mi serviranno), salvo poi scoprire che la linea da prendere è la 2, non è una metro ma un trenino gestito dalle Ferrovie e che non utilizza i biglietti acquistati dal sottoscritto, adatti quindi ad altra linea e altro gestore. Scendo nel piano a livello della linea, dove per fortuna la biglietteria mi riprende i biglietti, dirigendomi di nuovo alla linea giusta, incontro Loris Cantarelli di Fumo di China, ci mettiamo a parlare e prendiamo il solito treno, scendiamo nella stessa stazione, per la cronaca: Piazza Leopardi, perché abbiamo alberghi vicini, ci aspettiamo a vicenda per un veloce check-in-in e ci incamminiamo verso la Fiera d’Oltremare, sede della manifestazione.
Sono in orario anzi in tempo per una bevuta nella zona PRO, dove con stupore scontro che il mio pass Artist però, non ha accesso. Dovrà essere una questione da sistemare, mi dico.
Mi faccio portare la birra dal gentile Cantarelli e mi metto a parlare con qualche collega, incontro il buon Alfonso Rizzo, notorio cacciatore di disegni che, giocando in casa ripasserà per farsi fare un nuovo disegnino, trovo Glauco Guardigli editori della Bonelli con cui ci ripromettiamo di vederci la sera e poi, di ritorno allo stand Tunuè dove ero aspettato, incontro Raffaele De Falco, amico prezioso e gentilissima persona, con cui mi fermo a fare quattro chiacchiere insieme allo sceneggiatore Giuseppe De Nardo, poi mi metto a lavorare, anche se interrotto da molti amici e conoscenti che si fermano a parlare. Uno tra questi è Mauro Uzzeo, giovane rampollo che conosco da quando era pischello ed oggi come sceneggiatore si sta facendo strada nella Nuova Bonelli.
Incontro finalmente Sergio Brancato, che mi ha scritto una bellissima ed appassionata prefazione per “Hasta la Victoria!” edita da Mondadori Comics, ci conoscevamo ed apprezzavamo a distanza ma non ci eravamo incontrati de visu.
Faccio il mio tour di firme e poi mi dirigo verso Magic Press al quale ho promesso qualche firma per “La lama e la croce”, ultima fatica pubblicata da Mondadori Comics. Ma allo stand Bonelli mi metto a parlare con Michele Masiero direttore Bonelli, Riccardo De Marino e di nuovo Glauco, due saluti a Ivo Milazzo incontrato casualmente e poi Giancarlo Soldi, il regista degli ultimi due documentari sul fumetto italiano più interessanti, la sua bella faccia sorridente da puttino seicentesco mi mette sempre molta allegria, ed adoro parlare con lui, è una di quelle persone che con dal primo momento è scaturita una sintonia immediata.
Incontro anche il duo più felice del mondo, perché sono i soli che in Bonelli godono di una relativa tranquillità, che di questi tempi di vacche magre e al limite dell’anoressia, non è poco, perché il loro Dragonero ha vendite stabili e una programmazione accurata, e sono il duo Vietti -Enoch, accompagnati da Marina Sanfelice della casa editrice di via Buonarroti.
Ma la giornata è finalmente finita, ci ritroviamo con Glauco e, seppur tentati da una festa organizzata dal Comicon all’Istitute Français, decidiamo entrambi prima di farsi una bella pizza da Ciarly, per poi raggiungere gli altri con un taxi.
Riusciamo di straforo a farci regalare due posti e mangiamo una fantastica pizza condita in modo leggero e composta di una pasta magnifica.
Poi all’Istituto dove arriviamo a buffet già assaliti, ma io e Glauco siamo già pieni come otri e ci accontentiamo solo delle bevute mentre gli altri si accalcano ai buffet tra tartine, affettati e mozzarelle di bufale.
Qui indicherò, con un elenco della serva tutte le persone che abbiamo incontrato e parlato: Igort, De Felice, Barbara Baldi, Alino, Alina, Claudio Curcio, Sualzo, Bilotta, Cantarelli, Soldi, Laura Scarpa e molti altri.
Ci sarebbe anche il tempo per un’altra festa, ma mi sono alzato alle 5,50 di mattino, e non fa per me.
La Suite Partenopea mi aspetta.
Good night.
Il sabato mi sveglia con un bel sole cristallino, è meno caldo e l’aria è sicuramente più leggera.
È piacevole fare colazione sotto la tenso-struttura del bar convenzionato con il B&B, un bel cornetto alla crema ed un cappuccino ed iniziamo la giornata di slancio, come diceva una pubblicità di decenni fa.
Di fronte agli ingressi della Fiera d’Oltremare, molto numerosi come quelli dello stadio San Paolo di fianco alla struttura, le fiumana di gente in attesa è impressionante.
Da domandarsi se, a farli entrare tutti, la struttura li potrebbe contenere… la risposta è sì, li contiene.
L’enorme folla di visitatori di fronte ai cancelli d’ingresso della Fiera d’Oltremare.
Incontro gente e vedo persone, elencarle in ordine cronologico sarebbe lungo, mi ricordo soltanto che Marco Gasperetti, gentilmente mi offre un caffè che io accetto volentieri, ho ancora diversi minuti che mi separano dall’orario alle firme concordato, e traccheggio volentieri fino a quel momento.
Poi si comincia, accanto a me per l’intera manifestazione oramai c’è Khalina Muhova una bravissima illustratrice bulgara che disegna splendidamente, ed insieme condividiamo le innumerevoli dediche della mattina.
All’ora di pranzo insieme al buon Guardigli, eletto a maggioranza a mio pigmalione della manifestazione, decidiamo all’unanimità di andare a pranzo insieme da Ciarly, il Ristorante-Pizzeria fuori la fiera che ci ha ospitato il giorno prima, insieme a Italo Mattone, Davide Rigamonti e Mariano De Biase tutti componenti del nuovo progetto Odessa della Bonelli. Qui spero di non aver tediato sulle mie teorie sul futuro del fumetto il buon Mattone che, pazientemente ha ascoltato i miei sproloqui, spero di non averlo né annoiato troppo, né avvilito; è un giovane fumettaro che si è affacciato alla professione in un momento non troppo brillante, ma non per questo deve rovinarsi l’umore per colpa del sottoscritto. L’orario è probabilmente troppo presto per i miei appetiti, ma perfetto per coordinamento sugli orari popolari, per cui non fatichiamo a trovare il tavolo libero a differenza di quelli che arriveranno da lì ad un’ora. Una delle abitudini del ristorante però, sono un paio di zonzelle e stuzzichini prima dell’ordine effettivo, con relativo rilassamento da parte del nostro famelico appetito, per cui avvedutamente invece dell’ingolfante pizza (seppur buonissima), opto per uno spaghetto ai frutti di mare che mi delizia ma non mi intasa. Tanto per parlare fino.
Si rientra e sfruttiamo il cambio del pass.
Allora, come vi avevo già detto nell’area PRO, curiosamente, col pass “artist” mi avevano vietato l’ingresso allo spazio riservato agli addetti ai lavori. Non ne conosco il motivo, ma sono propenso ad immaginare che, visto il proliferare degli “artist ” (veri o presunti tali), l’organizzazione abbia optato per un ulteriore stretta di cinghia, onde operare una revisione sostanziosa delle uscite per bevute gratis che, seppur sembri una malignità, proprio per l’intrinseca cattiveria, potrebbe avvicinarsi al vero.
Io, per non saper né leggere né scrivere ma, muovendo le pedine giuste, mi sono fatto cambiare il pass da artist a pro (cosa che pareva impossibile), potendovi così accedere, non chiedetemi come, perché ho giurato fedeltà e sono pronto ad usare la pillola al cianuro pur di non rivelarla.
Incontro Marco Grasso, organizzatore di Etna Comics con cui scambiamo quattro chiacchiere, poi di nuovo la sessione di firme del pomeriggio.
Una breve sosta, e poi una sosta all’area PRO giusto per ristorarsi, una chiacchierata con Luca Scornaienchi e Stefano Piccoli per poi andare allo stand Magic Press e finire la giornata con dediche su Cuba e “La lama e la croce”.
Alla fine della giornata tutti pronti per il gran finale, le premiazioni del Comicon sono un l’momento importante perché, gioco-forza (e qui l’area “chiusa” della manifestazione aiuta), non si accede al buffet finale senza prima essersi sorbiti la cerimonia di premiazione che, si sa, è una gran rottura di coglioni per chi NON vince. Il gran cerimoniere è il nuovo direttore artistico della manifestazione: Matteo Stefanelli coadiuvato da una buona regia con filmati, schermate ed ospitate.
Le premiazioni non sono fondamentali e se volete saperne di più andate ad informarvi sul sito del Comicon.
La passerella finale dei premiati, e un bel gruppo di intervenuti in un interno: Silvia, il sottoscritto, Fabio Genovesi ed Elena.
Alla fine del cerimoniale, vedo vicino a me Fabio Genovesi (che era uno dei membri della giuria), è uno scrittore che leggo e apprezzo da sempre, per avere letto molte delle sue cose, non ultima il bel “Il mare dove non si tocca”, siamo amici su Facebook e lui, al tempo, mi fece posto tra i suoi contatti pur avendo il full sul suo account. Io non amo intromettermi, odio l’invadenza, che spesso sconfina nella cafonaggine quando entri a gamba tesa nella vita delle persone, ma è lì a pochi passi da me, e decido di presentarmi. E come spesso accade in queste occasioni, lui si ricorda di me, mi conosce e ci troviamo subito on-line, come si dice oggi, la frequenza è la stessa e ci intendiamo o al volo. Due convenevoli e la promessa di tornare a parlare tranquillamente al piano di sopra.
Poi, tutti al buffet che, i più avveduti, si sono premuniti di assalire subito dopo la fine della cerimonia e qui, obiettivamente, bisogna essere dei professionisti di questi attacchi da guerrigliero. La fila era lunga, ma in compagnia del buon Loris Cantarelli, siamo riusciti a non farci fregare il nostro vettovagliamento finale, e a sfangare la serata, almeno sotto la voce: cibo ed alimentazione.
C’è da dire che per accedere al buffet, c’era un ulteriore step da superare, uno step bypassabile con un braccialetto che, se non posseduto, inficiava l’accesso alla sala al piano superiore, in questo ambiente come in quasi tutta questa idiota società fatta di piedistalli ridicoli e gerarchie inutili, c’era quella degli eletti, degli Dei, delle divinità inarrivabili e VIPS e non per i comuni mortali che, miserrimamente, sono dovuti tornare nelle squallide ed umili pizzerie dei dintorni.
Al piano nobile c’erano gli altri, tutti gli altri, quelli che contano, devo farvi i nomi? No, non ve li faccio, sarebbero troppi e molti forse vi direbbero anche poco.
Mi apparto in un angolo per gustarmi la scelta alimentare e non parlare di fumetti, per qualche minuto vorrei mangiare il risotto o le orecchiette, la mozzarella e la crostata salata che mi ero fatta servire poi, in un modo o nell’altro (ma sempre piacevolmente) sono arrivati nell’ordine Emanuele Di Giorgi, Silvia Bellucci, un editor de il Castoro con cui abbiamo parlato di premi e non, e poi Vietti e Ticci, di nuovo Cantarelli, Federico Bertolucci e Antonio Vincenzi in arte “Sualzo”, Max Clemente, i gemelli Cestaro e poi mi metto a cercare Fabio Genovesi, con cui finalmente mi metto a parlare compiutamente dopo la promessa che ci eravamo fatti qualche tempo prima, ci scambiamo cellulari e foto ed è un piacere poter conversare con una persona gradevole e di spessore, con cui si percepisce una unità di condivisioni (territoriali e non) che ci accomunano. Poi torniamo a parlare con altri colleghi fino allo sfinimento, ma la serata è finita anche se vorrei bruciare qualche altra cartuccia, ma mi astengo da ulteriori sforzi, contro ogni pronostico la serata è stata piacevole (il trucco è non aspettarsi mai troppo), ma sono stanchissimo e, uno dei vantaggi, è avere la camera soli cinque minuti dalla mostra.
Saluto tutti e me ne vado, e so che rimpiangeranno la mia assenza, ma dovranno farsene una ragione, e pur rammaricato per loro, me ne vado a letto. Tardi.
Mi sveglio con la stessa considerazione di sempre, sbuffo e impreco quando devo partire, perché la mia pigrizia la fa sempre da padrona, ma poi quando ci sono non mi dispiace di esserci. Del resto in queste occasioni, indipendentemente dagli impegni fissati e gli orari da ottemperare, tutto il resto è un incognita, non sai mai chi incontri e che relazioni intraprendi. Non è che non lo sappia, ma ogni volta è come se dovessi averne una riprova.
Mi preparo ed esco per fare la colazione al Sandomingo, il baretto convenzionato col B&B, mi rilasso un po’ e mi dirigo verso la fiera. Agli ingressi non c’è la monumentale calca del giorno prima, ma c’è pur sempre molta gente, dal punto di vista numerico mi pare che gli organizzatori non possano che essere soddisfatti.
Porto la valigia allo stand e cazzeggio un po’ con amici e colleghi, e mi accorgo di quanto non abbia né visto mostre, né cercato novità o quant’altro, la cosa non mi piace molto ma non posso che prenderne atto, e non che gli stand non siano riforniti, è proprio che mi manca il richiamo della foresta, non sento più ululare i lupi: è silenzio.
Mi metto allo stand a fare dediche, non che la gente si accapigli, ma qualcosa si fa, la mattinata non è tonica ma, considerazione fatta anche durante la mia partecipazione di sette anni fa, non c’è proporzionalità tra la gente che c’è e le vendite dei libri, il rapporto è estremamente deficitario.
Le ragioni si prestano a tutte le possibili interpretazioni, io sono propenso a credere che il rapporto tra la domanda (un pubblico in recessione) e l’offerta (sempre maggiore e sproporzionata alla domanda), portino tutto il gioco al ribasso. Fetta della torta più piccola con maggiori competitors, uguale a meno vendite di singoli volumi.
Ma non è detto che sia così.
Accanto a me c’è ancora Khalina ma dopo un po’ si alterna Simona Binni, ricomponendo così, anche in questo caso, la coppia lucchese.
Tra una dedica e l’altra, Simona mi chiede che ne penso di un libro considerato un capolavoro, un autore di sicuro successo e dal segno originale ed innovativo, e in un colpo solo ho la risposta al mio non sentire più l’ululato, il richiamo all’acquisto, la pulsione verso la/le novità. Ho sempre pensato di essere un lettore piuttosto onnivoro e riuscire a digerire molte cose, talvolta anche obbligandomi a spuntini indigesti pur di aggiornarmi e cercare di capire, e credo anche di avere delle conoscenze estetiche e artistico-tecniche che che mi permettano di amalgamare il tutto, ma sarà la vecchiaia, l’assoluta mancanza di empatia con quello che vedo, e di conseguenza di soggiacere solo a quell’idea di spendere il tempo in maniera più gradevole possibile, che non vedo perché debba iniziare un libro che ha un disegno che non mi dice niente, non evoca nessuna emozione e sembra un gioco di cartellonistica stradale. Certo, la storia sarà sicuramente bellissima e memorabile, ma perché il disegno deve fare necessariamente cacare?
Non attendo risposte, perché non me ne frega niente.
E, diplomatico, mi tengo sul vago.
Terminate le firme, dopo avere mangiato un quarto di pizza gentilmente offerto dalla casa editrice, mi faccio una birretta nell’area pro insieme ad Elena e a …, una telefonata, qualche chiacchiera e poi mi dirigo verso lo stand. Ormai l’occhio va a l’orologio, c’è ancora tempo ma è cominciato il count down.
Vicino allo stand incontro Italo Mattone, il disegnatore al quale il giorno prima ho letteralmente assassinato tutte le speranze di un futuro migliore, perché sulla constatazione dell’attuale stato delle cose, la mia visione diciamo pure che non sia rosea. Mi scuso con lui, che è intelligente ed ha capito le mie constatazioni, ma gli confermo che, di fronte ai problemi, piuttosto che negarli, la soluzione migliore è quella di prenderne atto e guardarsi intorno per sapere come muoversi.
Il collega però mi mette sull’avviso, visto l’orario di partenza del treno, mi conviene partire per tempo, il trenino che collega Campi Flegrei con piazza Garibaldi (la fermata della Stazione Centrale), al tempo del Comicon rischia, ad una certa ora, di intasarsi per la troppa affluenza di persone e per la regolamentazione che il personale spesso attiva, bloccando i flussi di passeggeri e quindi facendo sballare orari e coincidenze.
Per cui prendo il bagaglio, saluto tutti e mi dirigo verso la stazione, per me il Comicon 2019 è terminato, direi confermando però tutte le aspettative.
Preferisco aspettare in stazione Centrale, piuttosto che rodermi l’anima per ritardi e complicazioni. Adesso sono su l’Intercity dove pare che le Ferrovie abbiamo fatto un po’ di casino cambiando il numero del treno e riposizionando i numeri delle poltrone assegnate per i passeggeri con il risultato che in certi caso, i posti assegnata sono perfino doppi. Ma la cosa pare non riguardarmi.
Continuo a scrivere questo report cullato dal rollio del treno e, neanche a farlo apposta, mi addormento. Ma è Renato Chiocca che mi sveglia, l’organizzatore di Lievito, un festival molto importante nel programma culturale della città di Latina, nel quale sono stato inserito la giornata di Lunedì.
Il libro di Fabrizio Gargano e il depliant con gli innumerevoli appuntamenti del festival Lievito.
Arrivo a Latina, e appeno vedo Renato Chiocca mi scappa da ridere, è uno dei ragazzi della Tunuè che conosco da tempo, un euforico personaggio dal l’entusiasmo contagioso ed il sorriso accattivante, un affabulatore impenitente che venderebbe il ghiaccio agli eschimesi, un tipo davvero simpatico, ed è lui uno degli organizzatori del programma di Lievito, la manifestazione all’interno della quale sono stato inserito con un incontro.
Vengo consegnato nelle mani di Fabrizio Gargano e la simpatica moglie Gisa che gentilmente mi portano non albergo.
Sono abbastanza stanco, la notte prima non ho dormito poi molto, e mi metto spaparanzato a vedere la semifinale del torne maschile di Volley di A1, Perugia-Modena (per la cronaca ha vinto Perugia al quinto set), e poi decido di andare a fare quattro passi in centro, e sono davvero quattro visto che l’albergo è situato proprio lì.
Latina, fin da subito si dimostra quella che è, una città nuova, nata dal niente e senza quel substrato di stili che compongono generalmente le nostre città, gli manca quella sovrapposizioni di epoche che invecchiano, e quasi sempre abbelliscono con l’anarchia dei substrati architettonici della storia le nostre città. Ma in questo è anche l’unica splendida testimonianza di forse l’unica cosa buona lasciataci dal ventennio fascista: l’architettura. Latina (come molte città satellite: Sabaudia, Aprilia, Pomezia), e nata con il nome di Littoria, per magnificare la grandezza del genio fascista ad uso e consumo di immagine del regime, ma ha permesso a Piacentini, Terragni &Co. di lasciare una testimonianza tangibile di quel razionalismo architettonico molto in voga negli anni 20-30 con palazzi e costruzioni edificate su linee orizzontali e verticali, in spazi di grande ordine e pulizia, eleganti e formalmente apprezzabili ma l’ultimo riconoscibile stile architettonico italiano ascrivibile alla nostra cultura nazionale.
Alcuni scorci di Latina.
La serata la trascorro in compagnia di Fabrizio Gargano, un simpatico ed educato autore con il quale non è affatto difficile entrare in sintonia, e ha la caratteristiche che all’età di ben cinquantadue anni ha prodotto il suo primo graphic-novel (30 giorni edito da ALT!), e con il quale l’indomani presiederemo insieme un incontro all’interno del programma della manifestazione.
La serata scorre tra piacevoli chiacchiere di fronte alle domande che Fabrizio mi pone con la curiosità di chi, da lettore, vuol conoscere un mondo che da poco sta vivendo dall’interno, e con la curiosità di chi in quel mondo ci entrato da poco e ne viene affascinato dai retroscena. La serata continua così, in gradevole compagnia e tra amabili conversazioni.
La mattina del Lunedì si alterna tra luce ed acqua, in una stagione che dalla primavera sembra voler fare qualche passo indietro ed arretrare verso l’inverno.
Alle 11,30 sono atteso al Polo Artistico Statale di Latina, e Renato insieme alla bella fidanzata Arianna mi passano a prendere per portarmici. Nell’aula magna ci saranno almeno tre classi di liceo accompagnate dai relativi insegnanti, c’è anche un monitor collegato ad un PC e se avessi portato una penna digitale avrei anche potuto mostrare delle immagini, ma improvvido e non avvisato di tale opportunità, abbiamo dovuto sostenerci con delle immagini catturate da Facebook che, una volta tanto ha avuto una funzione didattica. Ma alla fine è andata meglio così, una cosa più strutturata avrebbe avuto meno senso di un incontro basato più su l’improvvisazione, come in realtà è stato.
Gli studenti hanno avuto l’educazione di ascoltare per l’oretta e mezzo che mi sono trattenuto, ma anche se qualcuno di loro hanno dichiarato di leggere qualche manga, il livello di interesse, nonostante gli interventi di Renato e la mia buona volontà nel coinvolgerli, hanno mostrato un livello di attenzione standard. Ma purtroppo, parlare con questa generazione di fumetti e relative dinamiche, è come parlare di fisica quantistica ad una convention di veterinari, proprio non conosco di cosa si sta parlando, tanto è distante dai loro interessi. Ma, almeno a sprazzi, ho intuito dalle espressioni dei loro volti e nei momenti in cui il loro livello di attenzione era abbastanza alto, un certo interesse lo hanno mostrato e una studentessa, alla fine, mi avvicina per farmi vedere un suo disegno e chiedermi che ne penso. Non è molto ma vale la pena accontentarsi, e questo è già abbastanza.
L’incontro al Polo Artistico Statale di Latina.
Sono andato a pranzo con Emanuele Di Giorgi, direttore della Tunuè, e successivamente in camera, perché volevo finire di leggere il libro 30 giorni di Fabrizio Gargano col quale mi sarei dovuto relazionare, e volevo anche riposarmi un po’.
Verso le 17,30 mi sono avviato verso il Teatro D’annunzio luogo dell’incontro, qui nella sala congressi, insieme a Fabrizio e Renato come moderatore, abbiamo dato vita ad un incontro che parlasse del nostro lavoro, del coinvolgimento emotivo e creativo, dell’importanza dei luoghi rappresentati o immaginati e uno sguardo che girasse intorno ai nostri libri, con il finale dedicato al firma copie.
La gente intervenuta era consistente, la sala quasi piena, ma è al momento delle firme è saltato subito all’occhio come Fabrizio fosse il beniamino di casa, amici e conoscenti erano lì per la celebrità locale che, per la prima volta, si era cimentata in una vera e propria prova professionale, le dediche sono state svariate ed il merito va a lui se l’interesse è stato così alto. Qui ho incontrato nuovamente Luciano Cisi, appassionato fumettofilo che avevo avuto modo di conoscere anni prima e che, gentilmente, realizza delle foto che mi invia seduta stante.
Divisi da impegni derivanti dalla manifestazione, siamo andati in un wine-bar per la cena, Renato, Arianna, Simona (un’amica) ed il sottoscritto, e qui intorno alla mia zuppa bazzoffia, la conversazione è stata piacevole e simpatica, Arianna ci stupito con le sue rivelazioni socio-ginecologiche, mentre Simona ci ha illuminato su argomentazioni intorno al tessuto sociologico autoctono.
La serata finisce qui, anche se alla fine della cena abbiamo raggiunto Fabrizio e Gisa impegnati in un’altra cena-degustazione a base di olio extravergine, vini locali e prosciutto cotto nel vino, anch’essa legata al festival Lievito, qui ci siamo fermati il giusto per salutarli e scambiaci ancora i convenevoli, ma la tappa successiva è stata quella di salutare tutti e andare a letto.
Domani si rientra.
La presentazione alla sala congressi al teatro D’annunzio, in ordine da sx: Fabrizio Gargano, io e Renato Chiocca.
Sono sull’Intercity 510 diretto a nord, dopo aver terminato il libro dell’amico che mi ha tenuto compagnia chiudendo, come due parentesi, questo viaggio, e sono arrivato così alle conclusioni, sempre ammesso che da un viaggio, e per di più di lavoro, si debbano trarre delle conclusioni.
Il Napoli Comicon, è una di quelle manifestazioni che, per colpa del suo stesso successo e nell’inevitabile cambio di proporzioni tra spazi e spettatori, ha perso quel fascino che aveva quando si svolgeva all’interno e sulle mura dello splendido Castel Sant’Elmo, ma è riuscito a mantenere una compattezza a livello organizzativo con i suoi ospiti, nonostante l’asetticità da spazio espositivo della Fiera d’Oltremare. Le cene e gli incontri riescono a mantenere uniti gli invitati, permettendo così occasioni di condivisione che, in un lavoro di relazione come il nostro, sono utili oltre che piacevoli e divertenti.
A differenza di Lucca Comics (ma con questa manifestazione per chiunque ogni parallelo è quasi sempre inutile, per storia e quindi per tradizione), non esiste la medesima proporzionalità tra affluenza di pubblico e venduto, anche se ad onore del vero l’impatto visivo dei visitatori di sabato mattina all’entrata è stato davvero impressionante come le cifre che mi hanno detto (ma non sono ufficiali) ovvero di 140.000 biglietti venduti.
La premiazione, che a dire il vero è sempre stato l’ultimo dei miei pensieri, ma visto che sono stato presente vale la pena parlarne, mi ha lasciato perplesso, ma questa non è una novità. I premi hanno il potere di accontentare solo i vincitori, lasciandosi immancabilmente polemiche alle spalle, perché qualsiasi formula si adotti, si tratta sempre di “giudizi e valutazioni” soggettivi che vanno bene per alcuni e non per altri, e a poco vale il giudizio di una giuria, seppur scelta con criteri validi, se la si chiama a giudicare dei libri precedentemente selezionati da altri, perché in questo caso è da stabilire chi possiede il reale potere: il giudice o il selezionatore?
Perciò non entro nel merito delle scelte che rispetto, anche perché non conosco, salvo rare eccezioni, quasi nessuno dei premiati: ma io non faccio testo è risaputo.
La sosta a Latina invece ha avuto il potere di farmi “scoprire” (il virgolettato è d’obbligo trattandosi di un giorno soltanto) una città che non conoscevo, un po’ distante dai circuiti turistici e quindi abbastanza sconosciuta, rivelandola però con caratteristiche di grande vivibilità, ampi spazi, una struttura aperta e luminosa, grandi piazze e strade larghe che trasmettono l’idea che il regime doveva avere dell’Italia che immaginava e che, indipendentemente dall’idea politica, poteva anche essere condivisibile.
Gli incontri pubblici sono stati piacevoli, avere il contatto con il pubblico o comunque con la realtà che ci circonda è sempre utile per ridimensionarsi e rapportarsi col mondo intorno a noi, e anche se i risultati non ci confortano (e le mie conclusioni ve le risparmio), vale sempre la pena il confronto, ci aiuta a migliorare e a non isolarsi su posizioni distanti dalla realtà.
Il vero mondo sta là, e non nelle nostre stanze dove talvolta ci rifugiamo alla ricerca di sicurezze che non troveremo altrove, per cui questi viaggi sono salutari per avere una visione che non ci allontani troppo dalla realtà, quella realtà che noi alla fine abbiamo la presunzione di voler raccontare con i fumetti, seppur mistificata da artifici narrativi o invenzioni letterarie.
Dobbiamo esserci, anche se alla partenza qualcuno mi sentirà sempre lamentare.
Nota a margine che vuole, dopo continui pessimismi, essere però auspicante.
Appena rientrato a casa, nell’intento di controllare e mettere ordine (onde evitare ingolfamenti) nella corrispondenza digitale noto, nel mio gruppo Facebook Autore-Disegnatore, una richiesta di accettazione.
E’ uno degli studenti del liceo artistico di Latina, e in quel momento mi si dipinge un ebete sorriso sul volto, sono contento, come lo si è quando la sorpresa ci aggredisce.
Il cinismo non paga mai.
La disillusione talvolta ci nasconde quel fiorire dell’ottimismo necessario per vedere il futuro con i toni luminosi di un prato fiorito, e immaginarlo migliore di quello che ci aspettiamo e, per quanto pochi possano essere i fiori che in quel prato nasceranno, varrà sempre la pena accudirli per farli crescere.
Una cosa è certa, non dobbiamo mai smettere di seminare.