Credevo che il festival del Fumetto di Barcellona sarebbe stato l’unico al quale per quest’anno avrei partecipato, perché sinceramente non mi aspettavo che mi invitassero ad altri per molti motivi: sono lontano dal mercato francese da qualche anno e non ho pubblicazioni recenti da promuovere, per cui l’invito a BD dans l’Ain, a Bellegarde, mi ha preso alla sprovvista, ma non posso negare che mi abbia fatto piacere.
Anche perché, pur ammettendo di non avere novità da dedicare, mi hanno invitato lo stesso, solo per l’amicizia che mi lega a loro: a Michel Suro, Thierry Martinet e André Guinard che oramai conosco da anni e che mi hanno voluto ancora alla loro manifestazione, e li ringrazio di cuore.
Ho rinunciato ad andare al CTN a Los Angeles (quest’anno avevo deciso di andare), ma non mi pento perché di fronte alla gentilezza e all’amicizia, tutto scala in secondo piano.
Bellegarde è una ridente cittadina sovrastata da un ponte per la ferrovia, nelle vallate non distante da Ginevra, ed è il secondo festival francese al quale ho partecipato, qualcosa come circa vent’anni fa, e ancora ne ho un ricordo vivissimo, ero un neofita di dediche ed esperienze in terra transalpina, ma mi fecero sentire come a casa. In quell’edizione c’era Michel Rodrigue, Achdé, Lax, Ciro Tota e altri che al momento non ricordo, fu un’esperienza intensa che non dimenticherò, come l’albergo nel quale eravamo ospitati, il Belle Epoque, con un cucina orientale e che, malauguratamente prese fuoco qualche anno dopo.
Altri periodi e altre suggestioni.
VENERDÌ
Fuggo da tre giorni in cui il libeccio ha dettato legge ed obbligato gli amministratori del territorio ad indire ben due allarmi arancioni, ormai nessuno si prende più la responsabilità anche di una pigna che ti cada in testa, quando il meteo minaccia bufera.
Ho l’aereo da Firenze per Monaco (la rotta è di rimbalzo tra Monaco e Ginevra) alle 13,10, ma ho già visto che, come altri, è già previsto un ritardo in partenza, vari a sapere il motivo.
Sono partito di buon ora, con lo stesso treno con cui vado a scuola anche se arriverò con largo anticipo, ma preferisco attendere piuttosto che correre, e poi, visto la puntualità nostrana, meglio prevenire gli intoppi che rimanerne prigionieri.
All’andata, dalla stazione di SM Novella, prenderò la tranvia, che per l’aeroporto oramai è decisamente l’alternativa migliore al taxi, linea diretta, corsie preferenziali e arrivo garantito nei tempi.
Mangio un panino per fermare lo stomaco, visto che ho il volo proprio a ridosso del pranzo, e poi mi metto a scrivere queste due righe tra spagnoli che hablano e italiani che conversano.
Ma siamo ancora qui, sono le 14,30 e siamo sotto il sole di Peretola, l’aeromobile é ferma, e stiamo aspettando il decollo. Problemi di controlli tecnici alla partenza, tutta la programmazione sballa e gli orari vanno a farsi benedire, e sono tedeschi, tanto per dire.
Ci sono viaggi che non solo partono bene, ma hanno coincidenze e tempistiche perfette, non sbagli niente e tutto sembra coordinato da un metronomo. Questa no, questa parte già male, speriamo che non finisca peggio.
Durante l’attesa al gate però, ho avuto una felice sorpresa, un editore mi ha risposto in merito ad una mia storia, ed è probabile (se non ci sono intoppi) che alla fine dell’anno veda la luce editoriale, almeno a casa sua, in Italia, intendo.
La neve vicino a Monaco.
Vi anticipo che si tratterà di un report piuttosto scarno, perché sinceramente non so più che cosa aggiungere sulle mie scorribande in terra francese, tanto più che manca anche quell’entusiasmo che ne contraddistingueva i toni e le descrizioni.
A Bellegarde incontrerò Alessio Lapo e Simona Mogavino oltre a Laura Zuccheri e il marito indiano poi, giusto per non contraddirmi, non so altro, visto che non sono neanche andato a vedere chi sono gli altri ospiti. Una volta la prima cosa che facevo era andare su Opale BD (sono anni che non lo faccio) un portale di festival BD, che da informazioni su chi c’è e tutto quello da sapere, per sapere chi avrei conosciuto e con chi avrei condiviso quel fine settimana.
Finalmente siamo in volo, c’è di bello che la giornata è soleggiata, ed il decollo sulla valle dell’Arno è suggestivo, il via vai di auto sulle provinciali che piano piano rimpiccioliscono per scomparire, mi consegna quel senso di pace che avevo perduto per ritardi e le lungaggini.
In volo, negli aerei più piccoli come quello su cui sono, il fruscio del vento è maggiore, altrimenti sarebbe bello osservare il mondo sotto di noi nell’ovattato silenzio del vuoto, a me affascina sempre, non riesco a sopire quella sensazione bambina dentro di me, che induce alla fascinazione.
Ma non siamo ancora a metà del viaggio, per cui attendiamo di vedere cosa ci attende ancora.
All’arrivo ho perso inevitabilmente l’aereo, sono lungo di una ventina di minuti perché evidentemente il pilota ha comunque premuto sull’acceleratore, ma niente è quando di fronte allo schermo delle partenze non solo non vedo il mio volo, ma neanche uno successivo per Ginevra (c’è ne sono molti, aveva detto cordialmente la garrula hostess a Firenze). All’info center Lufthansa c’è una fila chilometrica che scoraggerebbe anche un monaco zen, tuttavia provo ad avvicinarmi ai video personali e digitando autonomamente provo a vedere se Swiss Air ha previsto un cambio di biglietto. Me lo rifiuta (scoprirò infatti che dovevo digitare Lufthansa, pirla!).
Decido di mettermi in fila, non ho alternative, questa è comunque lunga almeno una ventina di metri, me la vedo brutta. Poi azzardo a dire qualcosa in italiano, lamentandomi, e la ragazza accanto a me fa cenno di capire, allora condividiamo la fila e la sfiga, con quella solidarietà che si crea prontamente tra viaggiatori. Ma l’amica appena arrivata ha delle informazioni, le ha avute da uno steward della compagnia aerea che è vicino ad una macchina, ci sono solo tre persone, strano, mi dirigo lì. Questo riesce a cambiarmi il biglietto per uno che parte alle 18,10, ho perso il mio ma la cosa sembra risolta.
Mi siedo al gate K23, quello che conferma la partenza del mio aereo tra quasi un’ora, c’è poca gente, è normale, è ancora presto. E mi metto a trastullarmi col cellulare, per ingannare questa giornata che non finisce mai.
Ma quando una giornata nasce male, è probabile che talvolta finisca anche peggio.
All’ora dell’imbarco, insospettito dalla poca gente intorno a me, osservo di nuovo lo schermo che mi restava un po’ di sbieco, e mi accorgo che il volo è ulteriormente slittato alle 19,30, un’ora e venti dopo.
Vado di nuovo all’info center di questa parte dell’aeroporto, meno congestionata della precedente, e un tizio che parla in italiano mi tranquillizza (ma neanche tanto). Il volo è solo slittato, ma a me scivola lungo la schiena la paura che, rinvio dopo rinvio, alla fine venga annullato.
Si allunga sopra di me l’ombra del pernottamento a Monaco.
Ho ancora un’ora e dieci da aspettare prima di sapere di che morte devo morire, ormai penso solo a sedere sulla poltroncina 21C, perché ormai, l’unico obbiettivo della giornata, è quello di arrivare a Ginevra.
Ma non ne posso più, sono oltre 12 ore che sono in giro tra stazioni, treni, aeroporti e aerei, questo festival è lo stanno facendo sudare, credevo di finire in bellezza, ma non è così.
Alla fine ce l’ho fatta, l’odissea giornaliera ha avuto un lieto fine (se così possiamo definirlo), anche se l’aereo invece che alle 19,30 è partito alle 20,15. Ma ormai la parte più interiore di me aveva preso il sopravvento, una volta seduto sulla poltroncina mi sono concentrato sui miei chakra ed ho tentato di entrare in uno stato trascendente nel tentativo di non mandare a cagare nessuno, e devo dire c’è l’ho fatta. A Ginevra uno chauffeur con in mano il poster della manifestazione mi stava aspettando e, lentamente, ad una velocità di crociera da lumaca, siamo arrivati al Le pot à Feu, uno dei ristoranti partner della manifestazione dove la cena stava volgendo al termine.
Alla mia sx: Iko (alias Giuseppe Ricciardi), Simona Mogavino e Alessio Lapo.
Ho salutato tutti i presenti e con gran piacere il mio editore, Michel Jans con la moglie Josephine, che non vedevo da tempo, e mi sono seduto al tavolo di Alessio e Simone, che erano in compagnia di Giuseppe Ricciardi, in arte IKo, che non vedevo da almeno un decennio, e scopro che dalla sua Décine è tornato a Bellegarde Cito Tota, disegnatore francese di origine italiana che avevo incontrato, la prima volta, proprio qui, e questa sì che è stata una piacevole sorpresa.
Ho finito così la giornata, chiacchierando con i colleghi e mangiando affettati e cetriolini, e l’abbiamo tirata lunga anche dopo arrivati all’hotel, e siamo finiti a dormire quasi all’una di notte.
Così, questo 22 Novembre del 2024 ha visto la sua giusta e naturale conclusione nella camera 18 dell’hotel le Sorgia.
Buonanotte.
SABATO
Mi alzo presto, sembrerebbe una bella giornata di sole, anche se dalla mia finestra la leggera bruma che si stende nella vallata nasconde alla vista una parte di Bellegarde.
La colazione viene servita nel piccolo bar adiacente all’albergo, e non più nell’ampia sala da pranzo (nuova gestione, nuova dislocazione), ed il buffet è guarnito di molte prelibatezze, croissant freschissimi, baguette, marmellate e salumi, da farsi d’oro. Tanto lo so, in trasferta faccio fatica a contenermi e faccio una bella colazione non pensando alla bilancia.
Il rinnovato Centre Jean Marinet, sede della manifestazione (le foto sono state fatte nella tranquillità della domenica mattina, e si vede).
Non descriverò più di tanto la giornata, perché ai festival le giornate sono una identica all’altra, ci mettiamo a sedere e generalmente ci alziamo o per andare alla toilette o alla fine del turno che quasi sempre é 10-12,30 e 14,30/15,00-19,00, non c’è che dire, sempre un bel tour de force.
Bellegarde per me è stata una piazza dove ho avuto file chilometriche e un pubblico di appassionati che mi hanno sempre apprezzato, ma questa volta, consapevole di non avere novità, di essere venuto già nel 2021 ed avere realizzato il mio ultimo libro nel 2019 (ben cinque anni fa), sinceramente non mi aspettavo gran che. Mi ero immaginato di onorare la mia presenza con professionalità, ma niente di più. E invece niente di tutto questo.
Ho iniziato all’ora convenuta e, soste incluse, la sera sono stato l’ultimo ad alzarsi dalla mia postazione. Se non fossi un tipo tranquillo, potrei anche gasarmi.
Devo dire la verità, questa cosa mi ha davvero rigenerato, mi ha dato una grande fiducia perché, c’è poco da fare, per uno che fa il mio lavoro vedere l’affetto del pubblico, la curiosità di conoscere il tuo prossimo lavoro e la soddisfazione di ricevere il tuo disegno, fa bene. Mi lamento del cambiamento in atto (che è un dato di fatto ed è percepibile ahimé! anche in Francia), ma poi quarant’anni fumetto, e da appassionato molti di più, di mi fanno tornare a quello che sono e sono stato e, per quanto mi possa allontanare, poi capitano occasioni come queste che mi riportano a bomba, e mi ricordano che il passato non si cancella e, saltuariamente, ritorna a ricordarci chi siamo e, devo dire, è una dolce madeleine.
Un paio tra le tante dediche.
La serata finale a le Sorgia, alla fine delle portate, ha come sempre seguito il canovaccio del festival che ha una filosofia ecumenica e condivisibile che ricalca la simpatia dei suoi organizzatori, ed è quella che “non c’è nessun premio, perché per noi gli autori sono tutti importanti”, e così facendo premiano tutti, consegnando i relativi cadeaux ai partecipanti.
Poi la cena si è protratta per un altro po’, qualcuno ha cantato, altri hanno continuato a bere, e taluni si sono anche impegnati in filosofiche digressioni. I pochi rimasti (io quest’anno sono stato tra questi) hanno finito per andare a letto verso le 2,00h perché, come si dice, quando la compagnia è buona, il tempo scorre velocemente.
La serata a le Sorgia, e le tavolate dei partners, dei benevoles e degli autori (qui sopra vediamo Ciro Tota, Alessio Lapo e Sudeep).
La consueta presentazione dell’equipe della cucina e la direttrice del festival Christelle Jourdan.
In senso orario: Simona, Ciro Tota, Alessio, Sudeep, di fronte laura Zuccheri, Iko e il sottoscritto. In
Il tenero abbraccio tra due inveterati machi, da cui si evince che la virilità ha anche altre manifestazioni.
Michel Suro e Simona che intonano romantiche chansons.
DOMENICA
Ancora una bella giornata, e questa volta senza nebbie ad impedire la vista del panorama.
Faccio una nutrita colazione e mi preparo la valigia, i biglietti mi sono stati dati ieri, Maeve ha fatto il check-in on-line e saremo già pronti all’imbarco.
La mattinata scorre tranquilla, c’è meno gente e, forse il sole ha indotto le persone ad altri svaghi, magari all’aria aperta. Ma le attività al Centro Jean Marinet sono comunque piuttosto febbrili, i benevoles fanno caffè, preparano panini e tutti sono indaffarati.
Realizzo qualche dedica ma alle 12,00h sono già pronto, intorno a me anche gli altri colleghi non hanno le file interminabili del giorno precedente. Come si sa, gli appassionati preferiscono il sabato, e la domenica se arriverà altra gente, saranno i visitatori occasionali, quelli che, in alternativa alla passeggiata, verranno a vedere cosa propone il Centro Culturale.
Domenica mattina tranquilla, tra la messa mattutina e la preparazione del pranzo, c’è meno tempo per la BD (alle mie spalle Boudoin che parla con un lettore).
Alle 13,00h comincio a salutare tutti, partiremo (io Laura Zuccheri e Sudeep, suo marito) direttamente dal ristorante, e lo faremo insieme, perché abbiamo scoperto che abbiamo lo stesso volo, almeno fino a Monaco, poi lì ci saluteremo e ognuno andrà verso la propria destinazione.
A differenza dell’andata, oggi tutto scorre come un orologio, evidentemente il tributo al mio stress devo averlo già versato venerdì, e adesso mi godo l’andazzo, nonostante abbia una coincidenza strettissima di poche decine di minuti.
Ma all’arrivo a Monaco (quasi in orario) non solo mi ritrovo il gate del volo per Firenze accanto all’uscita, ma probabilmente devo salire sullo stesso volo, visto che l’accesso è lo stesso.
Ed infatti è così, me lo conferma lo steward che mi da nuovamente il benvenuto sullo stesso aeromobile.
La notte è tranquilla, il tempo sembra buono e, nell’oscurità della carlinga dell’Embraer dell’Air Dolomiti, rilassato, scrivo queste righe sul sedile 4A, in quella che dovrebbe essere la parte adibita alla 1a classe, e lo deduco dallo spazio più ampio che mi divide dalla poltroncina davanti, è proprio vero, oggi è tutta grazia!
Un paio di parole in conclusione.
Dopo due anni di assenza da un festival BD, oltre al constatare che per quanto mi riguarda l’affetto e la stima di colleghi e pubblico non è mai venuto meno, devo comunque fare alcune considerazioni che, seppur con altro tono, si avvicinano ad alcune riflessioni già fatte per l’Italia.
Quella che le raccoglie tutte, è che anche qui le cose stanno cambiando. Le amministrazioni (e qualcuno ha direttamente puntato il dito sulle politiche di Macron) non elargiscono i contributi che davano con generosità precedentemente, per cui molti festival, per mancanza di fondi, sono scomparsi dal calendario, perdendo così palcoscenici importanti che per molte case editrici rappresentavano occasioni in cui promuovere le proprie produzioni, spesso annegate tra le migliaia di uscite e novità.
Le nuove generazioni avanzano anche tra i nuovi direttori di festival, e non mi pare di avere avuto riscontri entusiasti: ripicche, gelosie e defenestramenti poco simpatici, hanno cambiato sì, ma non in meglio. Per cui un paio di ex-direttori che conoscevo molto bene li ho trovati senza mansioni (ma in questo caso ne ho conosciuti di nuovi), per cui eventualmente spero, se ne frequenterò ancora altri festival in futuro, di cascare in piedi.
La considerazione più triste, ma in realtà si tratta di una ulteriore conferma, è che i lettori (non solo i miei, ma praticamente quelli di tutti gli autori presenti), NON sono giovani. Gli appassionati di dediche è gente che non ha meno di 45/50 anni (e sono ottimista), in pratica i frequentatori dei festival sono persone che generazionalmente appartengono al passato, ed è la stessa cosa che sta succedendo in Italia. Quando questa generazione di lettori (prevalentemente di avventura o generi simili) scomparirà, un certo tipo di fumetto scomparirà con loro, e ormai mi sembra una previsione più che probabile.
Il medium fumetto non ha più appeal? Non lo so, non mi piace fare conclusioni definitive, ma di certo il trend non è ottimistico.
Inutile stare a sindacare sui perché ed i per come, questo è lo stato attuale delle cose. Il mio entusiasmo per avere ritrovato lettori che hanno fatto la fila per me, colleghi con cui mi sono divertito, ed amici che sono pronti ad abbracciarmi con affetto, purtroppo non può esimermi di constatare la realtà.
Torno a casa contento di avere fatto questa esperienza, nonostante sia stata la settima edizione alla quale ho partecipato ed era difficile trovare delle novità, ma ho ritrovato cose che probabilmente non avevo mai perso, e che a volte abbiamo bisogno di sapere che sono lì e non possono scomparire, e questo mi ha dato conforto.
Mi conforta anche il fatto di avere attraversato in questi ultimi decenni un mondo che mi è stato amico, mi ha accolto con affetto e mi ha regalato esperienze e soddisfazioni in un lavoro che ho sempre amato e che, in gioventù, mai avrei sperato di poter fare. Mio padre ne sarebbe orgoglioso.
Sono felice di esserci stato, di essermela goduta, fino a che tutto questo è stato possibile, e mi ritengo fortunato di averlo vissuto da protagonista.
Di più non posso dire.